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Google nel mirino del Fisco: l’Agenzia delle Entrate chiede un miliardo



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Secondo quanto ricostruito dalle indagini della Guarda di Finanza la multinazionale avrebbe evaso tra il 2015 e il 2020 circa 900 milioni di tasse, a cui ci sarebbero da aggiungere sanzioni e interessi. Ipotizzata la “stabile organizzazione” in Italia della società con sede in Irlanda

Pubblicato il 28 giu 2024



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Dopo una serie di verifiche fiscali sugli esercizi che vanno dal 2015 al 2020, l’Agenzia delle Entrate ha chiesto a Google di pagare circa un miliardo di euro. Si tratta nello specifico di compensare una presunta evasione fiscale stimata dalla Guardia di Finanza di Milano di poco meno di 900 milioni, a cui bisogna aggiungere sanzioni e interessi.

L’indagine della Guardia di Finanza

La richiesta arriva dopo una lunga indagine del Nucleo economico-finanziario della Guardia di Finanza di Milano che ha portato a ipotizzare una organizzazione stabile italiana della società irlandese di Google, con un’imposta evasa per 108 milioni di euro e un mancato versamento di royalties sui beni immateriali (licenze e software) da parte della società irlandese per oltre 760 milioni.

Il colosso del web si ritrova così sotto la lente del Fisco a sette anni di distanza dalla prima controversia: nel 2017 il gruppo accettò di versare 306,6 milioni di euro. In quell’occasione l’azienda di Mountain View chiuse le pendenze tributarie e sanato pure situazioni dei 15 anni precedenti. L’inchiesta penale, nella quale erano iscritti cinque manager per una evasione pari a 98,2 milioni di euro di imposta sui redditi di impresa, si era conclusa con un patteggiamento e quattro archiviazioni. Tornando alla situazione attuale, verranno ora avviate interlocuzioni tra la multinazionale e l’Agenzia delle Entrate fino alla definizione della cifra definitiva che potrà essere inferiore a quella contestata.

Il precedente di Netflix

La nuova inchiesta fiscale, coordinata dai pm Giovanna Cavalleri e Giovanni Polizzi, ricalca per certi versi quella condotta su Netflix, che nel maggio di due anni fa ha pagato oltre 55 milioni di euro circa in un’unica soluzione e ha aperto una sede operativa in Italia. Al gruppo statunitense che distribuisce film e serie televisive in streaming fu stata contestata, per la prima volta a livello mondiale, “una stabile organizzazione occulta di una società estera operante della digital economy, completamente priva di personale e caratterizzata esclusivamente da una struttura tecnologica avanzata”. Struttura che “sarebbe stata asservita in via esclusiva allo svolgimento di funzioni aziendali chiave per la conduzione del proprio business sul territorio dello Stato” italiano.

La notizia sul contenzioso tra Fisco e Google era stata anticipata ieri dal sito del Sole 24Ore che oggi entra nei dettagli precisando che alla nuova contestazione si è arrivati proprio dopo l’accordo raggiunto con Netflix. “Un accordo importante, perché è stato il primo caso nel quale è stata contestata l’esistenza di una stabile organizzazione occulta a una società che non aveva nessun dipendente sul territorio italiano. L’intesa ha dunque segnato uno spartiacque tra il prima e il dopo. Un caso destinato a fare scuola, in Italia e all’estero. Il fatto nuovo che ha cambiato le carte in tavola è stata la perdita di centralità del fattore umano nell’individuazione di una organizzazione stabile. Nel caso di Netflix, infatti, le indagini della Guardia di Finanza avevano evidenziato che la piattaforma utilizzata dal gigante dello streaming era costituita da oltre 350 server distribuiti sul territorio italiano attraverso i quali passava il 100% del traffico video. I pm sostenevano che, anche se la società Netflix International Bv risiedeva nei Paesi Bassi, possedeva in Italia una ‘sede fissa di affari’. Gli asset che l’azienda americana utilizzava in Italia erano cavi, fibre ottiche, computer, server e algoritmi, che avrebbero fatto rientrare Netflix nel concetto di “materiale stabile”.

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