VERSO IL 5G

Frequenze, ecco lo standard che salverà i televisori degli italiani (e lo Stato)

Non servirà sostituire tutti gli apparecchi televisivi, in vista della liberazione della banda 700Mhz. Sarà sufficiente che, con il “trasloco”, le emittenti adottino il formato Mpeg4. Lo dicono gli esperti, e lo ha già fatto la Francia. Nessun alibi per rimandare la riassegnazione dello spettro radio

Pubblicato il 19 Apr 2016

Roberta Chiti

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Modello francese funzionante o modello italiano ancora tutto da inventare? Mpeg4 o Hevc? Televisori nuovi per tutti gli italiani o anche i “seminuovi” vanno bene? Domande che girano intorno a un solo tema: la liberazione delle frequenze 700Mhz nei tempi previsti dalla Commissione Ue, il 2020. Quelle frequenze dovranno andare alle Tlc per permettere all’Europa di fare il grande salto al 5G e con esso all’Industria 4.0, le auto connesse, le smart home.

Ma attenzione: no 700Mhz, no party. E il salto dev’essere sincronizzato. Se un Paese rallenta, il gioco va all’aria.

La Francia ha cominciato per tempo le grandi manovre che la porteranno in modo indolore e puntuale come un orologio all’appuntamento richiesto. Ma l’Italia? E’ un’incognita che serpeggia fra telco, broadcaster, pezzi dello Stato, produttori di apparati hi-tech. C’è qualcuno che vuole davvero correre tanto come vuole l’Europa? Difficile trovarlo: a ben guardare solo Anitec, l’associazione che riunisce i fornitori di servizi e tecnologia chiede di non rallentare il passaggio al 5G.

Si tratta di conciliare interessi e poteri diversi con i tempi europei in un Paese che registra da sempre enormi anomalie sia sul piano delle assegnazioni delle frequenze sia sul numero strabordante di emittenti. Complicatissimo farle di nuovo “transumare” nello spettro radio dopo lo switch off analogico-digitale terminato nel 2012.

Se Francia e Germania si sono “portati avanti” (le gare per la 700Mhz hanno fruttato allo Stato rispettivamente 3 e 5 miliardi) in Italia sono tanti a voler rimandare la data di “fine lavori” il più possibile: possibilmente mai. A cominciare dai broadcaster – Gina Nieri in più occasioni ha ribadito la posizione contraria di Mediaset – che dovranno traslocare dalle “frequenze d’oro”, veri e propri asset iscritti a bilancio, fino agli operatori Tlc che a differenza dei colleghi francesi e tedeschi preferiscono rimandare sine die il momento in cui dovranno metter mano al portafoglio per acquistare la banda 700Mhz che sarà messa a gara.

Il Governo ha già chiesto uno slittamento di due anni per portare a termine l’operazione: non il 2020 ma il 2022. Slittamento necessario per mettere in campo operazioni che gli altri Paesi hanno già pianificato da tempo forti anche di condizioni di “vantaggio” (numero più basso di emittenti, esistenza del cavo, perfino posizione geografica più favorevole). Oltre a ridurre i multiplex assegnati alle tre Tv nazionali (Rai, Mediaset, Telecom), in Italia devono essere ridotti quelli assegnati alle Tv locali, dovrà essere elaborato il piano frequenze che l’Europa vuole entro giugno 2017, si dovrà trattare con i Paesi confinanti sul tema interferenze.

L’Europa è disposta ad accettare una proroga purché, ha sottolineato il Commissario alla Digital economy Günther Oettinger, secondo una “road map verificabile”: l’eurodeputata Patrizia Toia sta lavorando per elaborare una proposta in equilibrio con le esigenze europee e italiane.

Ma per qualcuno quei due anni potrebbero addirittura non bastare. Sta infatti prendendo piede fra broadcaster e alcune associazioni di categoria (Confindustria Radio Tv) la teoria che per attuare il futuro passaggio gli italiani dovranno comprare nuovi apparecchi televisivi.

L’allarme è rimbalzato su giornali e siti (entro il 30 giugno del 2020 – ha scritto Aldo Fontanarosa sulla Repubblica – le famiglie e le aziende italiane dovranno cambiare i loro televisori. O quantomeno comprare uno speciale decoder esterno e collegarlo al vecchio apparecchio) e può essere riassunto così: il refarming della banda 700Mhz obbligherà le 12 emittenti lì ospitate a traslocare nelle frequenze adiacenti, la banda sub700. Che è molto meno “spaziosa”. Per mantenere lo stesso numero di multiplex i broadcaster dovrebbero adottare due nuove tecnologie di ricezione “salvaspazio”: digitale terrestre di seconda generazione (dall’attuale Dvb-T al Dvb-T2) e nuovo standard di compressione (dall’attuale Mpg2 e Mpeg4 all’“evoluto” Hevc).

E qui nasce il problema: per continuare a vedere il segnale “modificato” gli utenti avrebbero bisogno di apparecchi nuovi: compatibili cioè con DvbT2 e Hevc. Se però così fosse, nonostante l’obbligo di legge (dice che da gennaio 2017 si venderanno solo apparecchi DvbT2-Hevc) nel 2020-2022 i Tv di nuovissima generazione saranno solo mediamente diffusi: il tempo medio di ricambio di un apparecchio in Italia è di circa 8 anni.

Ecco dunque che se si affermasse la teoria “transizione solo con nuovi standard” l’Italia sarebbe costretta a chiedere ben più dei due anni di margine. Ponendo il nostro Paese in una posizione di totale debolezza rispetto a un’Europa che si prepara al grande salto innovativo.

Ma è davvero necessario? Come scrive Gianfranco Giardina su D.Day.it “l’ipotesi di passare al DvbT2 è tutta italiana: l’Europa non lo chiede affatto, e quindi non vuole imporre una prematura obsolescenza degli attuali Tv digitali”.

Ma l’alternativa c’è: la soluzione “alla francese”. La Francia non ha previsto per legge obblighi di vendita di nuovi apparecchi, e per la transizione ha deciso di far adottare dalle emittenti l’Mpeg4.

Si tratta di uno standard di compressione che sarebbe in grado di garantire la continuità di servizio a tutte le Tv italiane passate alla nuova fascia di frequenze: le reti Mediaset, Rai, La 7 ecc tornerebbero visibili dai telespettatori. L’Mpeg4 è già utilizzato in Italia da tutti i broadcaster che trasmettono in HD (anche le Tv premium sono con Mpeg4). Il passaggio per tutti allo standard Mpeg4 consentirebbe di ridurre del 50% lo spazio nel multiplex necessario per trasmettere un programma a parità di qualità percepita dall’utente anche senza modificare lo standard di modulazione (il DvbT).
Del resto, hanno detto a Corcom gli stessi esperti della Commissione Ue, “i Tv di nuova generazione supportano l’Mpeg4 dato che l’Hevc sta arrivando più lentamente sul mercato”.

Non solo: l’adozione del solo standard Mpeg4 fornisce un altro notevole vantaggio: per le tasche dell’utente. Già la stragrande maggioranza dei televisori che vengono venduti ora sono dotati di decoder Mpeg4. Si calcola che dell’intero parco tv italiano circa il 50% sia Mpeg4: nel 2020, quando l’Italia dovrà cominciare il processo di liberazione della banda 700Mhz, saranno il 100%. A quel punto rimarrebbero pochi apparecchi “antichi” in circolazione”: e finanziare l’acquisto di set-top-box diventerebbe per lo Stato una spesa minima.

Del resto, sarebbe bizzarro che i negozi italiani continuassero ora, oggi, a vendere apparecchi che nel 2020 non funzioneranno più.

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