“Mentre le pay-tv non riescono più ad attrare un numero maggiore degli investimenti, gli OTT e gli operatori online stanno attraendo sempre più investitori interessati alle nuove frontiere digitali. È in atto una ridefinizione della tv a pagamento tradizionale e una ricerca, con risultati ancora insufficienti, di nuovi modelli che possano competere nella nuova era digitale”. Augusto Preta, ceo di IT Media Consulting, non ha dubbi: la pay-tv non cresce più ed è obbligata a convergere verso il nuovo universo della televisione online.
Commentando a CorCom i risultati dell’ultimo Osservatorio annuale elaborato dalla società di ricerca di cui è Ad, Preta evidenzia le difficoltà strutturali del segmento pay e il passo incalzante di Netflix & Co. “Non è un caso che un colosso come Sky abbia acquistato Molotov (piattaforma streaming, ndr) in Francia”, fa notare citando il deal chiuso da Murdoch come un esempio di convergenza quasi inevitabile. Mentre sul geo-blocking il giudizio è abbastanza netto: secondo Preta, uno sblocco della distribuzione multi-territoriale per mano dell’Ue rischia di dare più potere ai giganti e mettere in difficoltà i produttori di contenuti locali.
La Tv tiene botta e rivede il segno più alla voce pubblicità: quali segmenti hanno permesso quest’inversione di tendenza?
Quello che emerge in maniera chiara è una ripresa generale degli investimenti pubblicitari, che ha avuto un impatto benefico anche sul segmento televisivo. Il trend di crescita sostenuta dell’online a livello generale si riscontra anche per la tv ed è una dinamica che si sta consolidando.
Inghilterra e Germania sono cresciuti del 7 e 6%, mentre l’Italia ha fatto segnare un tasso da zero virgola: perché questo dislivello?
Regno Unito, Germania e Spagna crescono mentre Francia e Italia viaggiano attorno allo zero. Quanto detto prima sulla ripresa generale vale anche per il versante geografico, perché alcuni Paesi hanno ricominciato a investire con decisione e il settore televisivo se ne è avvantaggiato.
La tv online sta incalzando i colossi tradizionali della pay-tv: come si giustifica questa differenza di performance? È una questione di offerta più ricca? Di domanda più alta? Di entrambi?
In valore assoluto le reti tradizionali continuano a pesare molto di più sugli operatori online. La differenza è nel trend: mentre le pay-tv non riescono più ad attrare un numero maggiore degli investimenti, gli OTT e gli operatori online stanno attraendo sempre più investitori interessati alle nuove frontiere digitali. L’offerta dei broadcaster è sempre più orientata a calcare il terreno degli OTT e le pay-tv stanno rivedendo il modello di offerta premium in bundle. Una ridefinizione della tv a pagamento tradizionale e una ricerca, con risultati ancora insufficienti, di nuovi modelli che possano competere nella nuova era digitale. Si assiste a una segmentazione dell’offerta, che prima era molto rigida mentre ora, specialmente su Internet, è più orientata alla personalizzazione anche sul prezzo.
Su questo aspetto incide anche la leggerezza dei business model degli operatori digitali?
Gli operatori online stanno accrescendo la competizione sul versante dei contenuti, spingendo verso il basso i prezzi delle offerte con effetti diretti anche sui broadcaster. La pay-tv non cresce più non perché calano gli abbonati, ma perché i ricavi sono in discesa.
Il fatto che una media company come Vivendi abbia puntato su Premium è il segnale di un processo di convergenza inevitabile tra business online e televisione pay?
L’evoluzione del mercato e anche questa vicenda dimostrano che una tv a pagamento non può più pensare di contare esclusivamente su modelli tradizionali. L’unico modo per crescere è sottrarre risorse al concorrente oppure si rimane nei soliti confini: è un mercato che non cresce più. Di conseguenza la pay-tv tradizionale vive una maggiore concorrenza da parte dei nuovi player online e non è un caso che un colosso come Sky abbia acquistato Molotov (piattaforma streaming, ndr) in Francia. È un trend di convergenza che significa cambiamento per i business model tradizionali.
Geo-blocking: il possibile andrà a vantaggio di chi?
La regolamentazione attuale è country-specific, ossia ogni Paese ha le sue regole contrattuali. Un produttore di contenuti vende a Rai, Mediaset o altri soggetti un contenuto e su questo ho un valore che è dato essenzialmente dalla vendita al consumatore locale. Un addio al geo-blocking comporterebbe per gli operatori nazionali un costo più alto nell’acquisto dei contenuti, che potenzialmente potrebbero avere un pubblico molto ampio. Ma se il player è nazionale questa potenzialità non verrebbe sfruttata. La direttiva sul tavolo di Bruxelles favorisce sicuramente chi ha una presenza multi-territoriale andando a scapito di chi offre servizi audiovisivi localmente limitati. Un player come La7 o Rai non avrebbe la forza di distribuzione di una Netflix o di una Sky, che invece sfrutterebbero a pieno la possibilità di distribuire il contenuto in diversi Paesi. Invece di favorire la circolazione transnazionale si riduce il numero di quanti possono distribuire contenuti.