HATE SPEECH

Orlando: “Insulti e bufale, Facebook risponda per i post degli utenti”

Il ministro della Giustizia in campo contro l’hate speech: “Dire che il social network si deve responsabilizzare non significa volerlo punire, ma combattere contro un pericolo che vivono le nostre democrazie”. Il tema sul tavolo Ue prima del G7. Svelato il codice etico di Fb: ecco come funzionano le regole che eliminano i post “sgraditi”

Pubblicato il 27 Dic 2016

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“Facebook deve essere responsabile sei contenuti che pubblica: è un problema di democrazia non di tecnologia”. Lo dice in un’intervista al “Foglio”, il ministro della Giustizia Andrea Orlando, spiegando perché i legislatori devono muoversi per rendere Facebook responsabile dei contenuti che veicola. “E’ arrivato il momento di mettere le cose in chiaro: Facebook non può
essere più considerato un semplice veicolo di contenuti”.

“Se su una bacheca vengono condivisi messaggi d’odio, o propaganda xenofoba – aggiunge – è necessario che se ne assuma le responsabilità non solo chi ha pubblicato il messaggio ma anche chi ha permesso a quel messaggio di essere letto potenzialmente in tutto il mondo. Al momento non esiste una legge che renda Facebook responsabile ma di questo discuteremo in sede europea prima del G7, per mettere a tema il problema senza ipocrisie”.

”Dire che Facebook deve responsabilizzarsi non significa voler punire Facebook, ma significa voler combattere contro un grande pericolo che vivono le nostre democrazie. La retorica sulla disintermediazione ci ha permesso di fotografare bene un fenomeno ma non ci ha permesso di capire bene le sue problematiche”.

“È necessario impegnarsi – prosegue il Guardasigilli – per non alimentare, su nessun piano, una spirale che rischierebbe di essere devastante. Quella che prevede l’affermazione di un principio pericoloso: ciò che è virale diventa verosimile a prescindere se ciò che si condivide sia vero oppure no. Le notizie false ci sono sempre state e sempre ci saranno”.

“Ma prima di rassegnarci a vivere nella giungla della disintermediazione senza regole è bene che la politica faccia la sua parte e che provi con tutte le forze a disincentivare l’affermazione delle post verità. Non sarà l’anticorpo perfetto ma la trasformazione di Facebook in qualcosa di simile a un editore è un passaggio cruciale in questo senso”.

“Sia per il mondo della tecnologia sia per il mondo della politica. Qui non stiamo parlando solo di Facebook, stiamo parlando del futuro della nostra democrazia“, conclude Orlando.

Intanto il Süddeutsche Zeitung svela il codice etico di Facebook ovvero le regole, finora segrete, con cui il social network sceglie i post da cancellare.

Dai documenti venuti alla luce si scopre che i moderatori lavorano molto nel campo del bullismo online e dell’incitamento all’odio verso giovanissimi ed anziani, docenti, donne e disoccupati. Rientra nel bullismo anche fare una graduatoria delle persone sulla base dell’aspetto fisico o dei tratti di personalità, quindi deve essere cancellato.

Devono essere obbligatoriamente eliminati i post che hanno come argomento ingiurie, toni violenti e minacciosi verso categorie protette in base a razza, etnia, religione, provenienza nazionale, orientamento sessuale ed identità di genere.

Punto dolente è quello delle religioni. In questo caso le regole sono più complesse: sono tutelati gli appartenenti ai gruppi religiosi, ma non le religioni, poco importa quali siano. Stesso discorso vale per i singoli Paesi. Ad esempio si può scrivere un post sulla Germania senza correre rischi, diverso è se si parla di tedeschi.

Atteggiamenti considerati “autolesionistici” come i tatuaggi ed il piercing estremo possono essere pubblicati su Facebook se accompagnati dall’invito a “non farlo a casa”. Se si incorre in immagini di ferite autoinflitte invece non sarà solo cancellato il post, ma la persona che le ha postate sarà messa in contatto con chi sarà in grado di fornire un aiuto.

Il codice etico però non è assoluto. Come ogni servizio editoriale anche Facebook distingue le figure pubbliche dai normali cittadini. Ad avere il titolo di “persona pubblica” è chi ha più di 100 mila followers, va in televisione, rilascia dichiarazioni pubbliche o nelle cronache degli ultimi due anni è stato menzionato più di cinque volte. In quel caso anche i post più pesanti dovranno essere ignorati.

Davanti alla diffusione del proprio codice etico, i vertici di Facebook hanno tenuto a sottolineare che “Facebook non è un posto per la diffusione di discorsi di odio, razzismo o appelli alla violenza”, confermando che ogni contenuto segnalato viene seriamente valutato.

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