INTERVISTA

Paganini: “Burocrazia zero per il digitale: o l’Italia resterà al palo”

Il consulente per la Commissione di inchiesta della Camera sul livello di innovazione della PA: “La sfida è digitalizzare in modo efficace ed efficiente, cioè ottenendo il massimo da quello che si può investire e farlo nel modo migliore. Fondamentali le competenze del personale”

Pubblicato il 08 Mar 2017

Da pochi giorni Pietro Paganini è stato nominato consulente per la Commissione di Inchiesta della Camera sul livello di Digitalizzazione e Innovazione della PA. La Commissione è giunta alla fase due, come ha ricordato il suo Presidente, l’onorevole Paolo Coppola, in una recente intervista. Il compito del professor Paganini sarà quello di misurare le competenze digitali del personale della PA e il peso sul ritardo nella digitalizzazione delle amministrazioni pubbliche.

Digitalizzare la PA è una missione impossibile?

No. La sfida è farlo in modo efficace ed efficiente, cioè ottenendo il massimo da quello che si può investire e farlo nel modo migliore. Le competenze del personale sono fondamentali per ottenere efficienza.

E come sono le competenze del personale PA?

Lo scopriremo. Sono molto curioso di capire. I dati del Rapporto DESI 2017 segnalano l’Italia per le scarse competenze. E’ un problema che non riguarda solo la PA ma l’intero sistema produttivo e tutti i cittadini in generale. Siamo poco digitali.

Perché?

Le ragioni sono molteplici, culturali principalmente, ma non facciamone un determinismo. Come l’Istat ha appena certificato, siamo anche un paese vecchio, e quindi conservatore per natura. Nel 2017 i nativi digitali sono molto pochi rispetto agli analogici, a differenza di altri paesi. Sono i giovani il primo motore del cambiamento e da noi ce ne sono pochi. Questo è già il punto di partenza. Aggiungiamoci che abbiamo una scarsa vocazione alla strategia e alla pianificazione, e quindi il ricorso al digitale, cioè alla digitalizzazione dei processi produttivi e dei servizi offerti in generale, resta basso.

Eppure l’accesso alla rete aumenta, così come l’implementazione della banda.

Negli ultimi anni si è finalmente registrata una maggiore sensibilità e quindi un maggiore impegno da parte dei governi al fianco delle imprese operatrici, sia per stimolare la domanda (che resta debole anche qualitativamente) sia per velocizzare l’implementazione della fibra. Seppure a volte confuso, il ruolo dell’Agid è stato molto importante. Resta il tema della burocrazia. Da tempo sostengo che per il digitale occorre un’area a burocrazia zero, una zona franca, un’eccezione alla burocrazia che consenta di velocizzare la diffusione delle reti NGN.

Uno “swtch off'” del digitale?

Sì.

Ma resta da stimolare la domanda?

E’ il dilemma dell’uovo e della gallina. Viene prima l’offerta di connettività o la domanda? A mio avviso la domanda cresce nel momento in cui c’è richiesta di sviluppare e usufruire servizi attraverso la rete, cioè imprenditori, imprese e pubbliche amministrazioni digitalizzano la propria offerta di prodotti e servizi e i propri processi produttivi. Si stimolerebbe così anche un utilizzo qualitativo della rete, anche da parte dei cittadini e degli utenti. Al momento purtroppo i servizi offerti sono ancora pochi o comunque molto semplici, così come i processi produttivi digitalizzati sono ancora scarsi. Si conferma lo stereotipo per cui gli italiani usano la rete come facevano con il telefono, per chiacchierare.

Questo è imputabile alle scarse competenze?

Si. Il rapporto DESI dimostra ancora una volta che la nostra educazione digitale è scarsa. Non percepiamo la digitalizzazione come un’opportunità per rendere più efficaci ed efficienti le attività che svolgiamo. Già agli inizi del 2000 in diversi abbiamo notato come per esempio nei paesi del Nord europa Internet era impiegato per migliorare l’offerta e tagliare i costi, mentre da noi era un’ulteriore strumento per complicare il funzionamento dei processi e aumentare la spesa.

E le scarse competenze sono la ragione del ritardo della PA nella digitalizzazione?

Sì, anche. E’ la domanda alla quale volgiamo provare a rispondere con la Commissione di Inchiesta della Camera: quanto pesano le scarse competenze sul ritardo della PA?

Per esempio?

L’incompetenza è nemica dell’innovazione, rallenta la creatività e l’intraprendenza. Qui ha origine l’immobilismo della PA verso il cambiamento e quindi il digitale. Per fortuna poi arrivano i governi sensibili, come gli ultimi, che impongono il cambiamento e il digitale. Si scatena il panico e la confusione nella PA. Gli addetti ICT, i potenziali CIO, sono obbligati ad eseguire il cambiamento. Lo fanno di malavoglia e affidandosi ai fornitori di ICT che chiaramente hanno un solo obiettivo: vendere. Si passa così dal lassismo alla digitalizzazione selvaggia, cioè poco razionale, inefficiente e poco efficace.

Non sarà colpa delle imprese e dei fornitori?

No certo. Le imprese sono qui a vendere e fanno bene a fare il loro lavoro. Naturalmente non dobbiamo tralasciare la questione etica che si pone quando invece speculano. E’ il personale della PA dedito alla digitalizzazione e all’innovazione che dovrebbe essere in grado di pianificare per raggiungere efficacia ed efficienza e quindi compiere le scelte migliori.

Meno stampanti e meno carta?

Sì, ma solo se è la conseguenza di un piano strategico. No, se è seguire la moda di consumare meno carta. Le scelte devono essere il risultato di un’analisi razionale. La digitalizzazione è uno strumento per coordinare efficacemente ed efficientemente le proprie attività e quindi i propri obiettivi. Non è il fine. Al momento però, pare che la digitalizzazione dipenda maggiormente dalla bravura degli uffici commerciali delle aziende fornitrici e dalle grandi relazioni che queste hanno nella burocrazia.

Anche la Cybersecurity stando alla cronaca…

Sì certo. Il Global Fraud & Risk Report 2017 appena pubblicato da Kroll evidenzia le scarse competenze in fatto di rischio e attenzione alla sicurezza. Questo è un problema che coinvolge la PA ma anche il privato.

La ricetta?

Non è il mio ruolo elaborare una ricetta, almeno nella mia funzione di consulente della Commissione. Siamo in una fase di analisi e investigazione. Spero che i risultati del nostro lavoro serviranno per elaborare strategie migliori e compiere scelte più efficaci ed efficienti. Di ricette ne ho date già in altre occasioni, così come ci sono molti benchmark a cui guardare in giro per l’Europa.

Ma lei ha sempre sostenuto che occorre essere ambiziosi.

Sì, e continuo a farlo. Ma se siamo quartultimi nel rapporto DESI significa che non siamo ancora in grado di creare il nostro benchmark. Dobbiamo prima risalire il gruppo imparando da chi ci sta davanti. Quando ci avvicineremo finalmente alla testa, allora saremo in grado di imporre il nostro modello. L’importante è persistere, continuare ad imparare, e non mollare mai.

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