Come è noto, a me piace dire la verità: ho più volte detto che io sono un uomo della penna, formatosi in un tempo senza computer. Tuttavia, non è necessario essere stati dei grandi giocatori per essere validi allenatori, come dimostra la vicenda del mio amico Arrigo Sacchi al Milan. Io non sono dunque un uomo “digitale”, tuttavia per primo in Italia ha voluto il ministero dell’Innovazione, nel 2001.
Da allora l’imponente sviluppo tecnologico e della Rete è entrato con forza nella nostra società: la cosiddetta “rivoluzione digitale” è importantissima per stimolare la crescita del Paese e le misure che intendiamo realizzare per uscire dalla crisi investono anche questo settore. Ne cito solamente due: la detassazione dei contributi per le aziende che assumono giovani a tempo indeterminato e l’eliminazione della massa dei debiti che le pubbliche amministrazioni, cioè lo Stato, ha verso i suoi fornitori. Siamo in una situazione nella quale servono interventi di fondo che ridiano fiducia e speranza a tutti, in modo particolare agli imprenditori, in ogni settore.
Sono dal 2001 convinto che la digitalizzazione dei servizi della pubblica amministrazione sia non solo una azione conveniente per lo Stato ma anche per i cittadini e le imprese, che risparmiano tempo e denaro. In questi giorni, preparando questo intervento, ho capito che questo è anche un altro modo per declinare il principio liberale per il quale lo Stato è al servizio dei cittadini e non viceversa. La digitalizzazione è anche un modo per eliminare sprechi di denaro pubblico e rendere più efficace ed efficiente il lavoro della pubblica amministrazione ma anche un modo per arginare quella corruzione diffusa, specie a livello regionale, che ha disgustato tutti i cittadini italiani.
Nel nostro programma ufficiale abbiamo sinteticamente indicato alcune tematiche, tra le quali la piena attuazione del Codice dell’Amministrazione Digitale, il completamento del progetto “Scuola 2.0”, la revisione dei criteri per la nascita di aziende innovative, il completamento del processo di piena trasparenza sui dati in possesso della pubblica amministrazione, la diffusione della banda larga e larghissima.
Sono alcune delle tematiche con le quali abbiamo come Popolo della Libertà spronato il governo tecnico in Parlamento e con la nostra proposta di legge, prime firme Antonio Palmieri-Angelino Alfano, in tema di agenda digitale. Nella nostra proposta la responsabilità della realizzazione dell’Agenda Digitale veniva assegnata direttamente alla Presidenza del Consiglio. Ciò non solo per il motivo pratico di avere un unico punto di stimolo e di regia ma anche per un motivo culturale e simbolico: indicare che l’agenda digitale era così importante da meritare di essere gestita dalla figura nominalmente apicale del governo. Il governo dei tecnici ha scelto una via diversa. L’Agenzia Digitale che ha voluto creare è stata strutturata sotto la vigilanza di cinque ministeri diversi: mi sembra uno strumento farraginoso e non per nulla abbiamo assistito a ritardi ed intoppi burocratici e di fatto essa è ancora ben lontana dall’essere pienamente operativa.
L’agenda digitale ha tre colonne: la pubblica amministrazione, lo sviluppo dell’economia digitale e il superamento del divario digitale, fisico e culturale. Nella pubblica amministrazione c’è da attuare il Codice che noi abbiamo voluto nel 2005 con Stanca e implementato nel 2010 con Brunetta. Nella scuola, nella sanità e nella giustizia negli ultimi anni abbiamo avviato importanti cambiamenti. Un esempio per tutti: il certificato medico elettronico per i dipendenti in malattia sta facendo risparmiare tempo e soldi sia ai lavoratori che alle aziende. È una piccola grande rivoluzione, silenziosa, che non fa notizia, ma che ha inciso nella vita quotidiana di ciascuno. Esempi così ce ne sono molti e fanno parte di un unico disegno di governo, che necessariamente deve essere portato a realizzazione dai singoli ministeri, date le specificità di ogni settore.
Per la crescita dell’economia digitale credo sia maturo il tempo di avere un proprio viceministro, all’interno del ministero dello Sviluppo, focalizzato sullo sviluppo dell’uso di internet da parte delle imprese e sulle iniziative per diffondere sempre di più la conoscenza e l’uso degli strumenti on line.
In primo luogo dovrà completare i molti decreti attuativi previsti dall’Agenda Digitale che ereditiamo dal precedente governo e promuovere nuove imprese, commercio elettronico, superamento del divario digitale e di quello culturale. A tal proposito, ritengo che la Rai debba svolgere una importante funzione di alfabetizzazione digitale. Era scritto nella nostra proposta di legge, il precedente governo non l’ha accolta. Nel 2002 noi avevamo avviato una serie di iniziative sulla tv generalista. Ora la Rai deve fare la sua parte sulle reti principali, sulle nuove messa a disposizione dal digitale terrestre, online, in sinergia con il ministero dell’Istruzione. L’obiettivo è incrementare la diffusione e l’uso di Internet: siamo ancora indietro nelle classifiche europee. Questo è un buon motivo per insistere nella diffusione dell’utilizzo almeno di base delle tecnologie.
Ci sarebbe molto altro da dire e, dunque, da fare. Mi consenta un ultimo impegno: Monti aveva parlato di svincolare dal fiscal compact gli investimenti per la digitalizzazione: non ne abbiamo saputo più nulla. Credo che questa sia una iniziativa da portare a compimento perché aiuterebbe il reperimento di fondi, cosa che in un tempo così difficile ha notevole importanza.
In conclusione, mi sento di dire che la “rivoluzione digitale” è il completamento della rivoluzione liberale che perseguiamo dal 1994 e che abbiamo parzialmente realizzato con le nostre riforme, nonostante le negatività della situazione economica generale e nonostante complotti e tradimenti. Eppure io ci credo ancora: ho fiducia di poter completare la rivoluzione liberale. E di poter fare lo stesso, ovviamente, anche con la rivoluzione digitale.