FENOMENO DATI

Big data, lo statistico diventa data scientist

Gli atenei Usa si stanno attrezzando con corsi ad hoc: secondo i bookmaker è il lavoro del futuro

Pubblicato il 03 Lug 2013

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Se i Big data saranno l’oro digitale dei prossimi anni, chi ne trarrà il massimo profitto? Viene da pensare agli informatici, ai laureati in quella che negli Usa è chiamata “Computer science”. Ma la risposta è sbagliata. Hal Varian, fra i più importanti economisti studiosi di tecnologia e informatica applicata ai mercati e alle aziende (nonché consulente strategico e gran consigliere dietro ai successi di Google a partire dal 2002), ritiene che il mestiere più “sexy” del futuro sia quello dello statistico. E che l’analisi dei dati sarà uno dei lavori più pagati del futuro. Non solo statistica, però. La parola magica è “Data scientist”. Nella professione dello “scienziato del dato”, per la quale i principali atenei statunitensi si stanno attrezzando con corsi di laurea dedicati e che secondo l’editore Tim O’Reilly sarà uno dei lavori strategici del futuro, sono necessari tre diversi domini di competenza. La statistica, che è quel che serve per utilizzare i dati; l’informatica, ma in modo strumentale, perché il Data scientist deve saper programmare e creare gli strumenti software che utilizzerà per analizzare i dati; serve poi una competenza “morbida” di tipo tradizionale nei settori merceologici trattati o sulle scienze sociali. Il Data scientist deve conoscere anche la materia da cui provengono i dati, prodotti o persone che siano, per poterne trarre informazioni che altrimenti non risultano evidenti utilizzando formule e numeri.

L’idea di Variant si sta rivelando profetica nell’ambito delle nuove tendenze sulla tecnologia applicata all’economia: la statistica, ovvero l’analisi attraverso strumenti software inediti che permettono di trarre conclusioni concrete in ambiti di applicazione “reali”, sta cambiando faccia al pianeta. Secondo McKinsey negli Usa già oggi mancano tra i 140 e 190mila laureati in questa disciplina che ancora non viene insegnata. E l’impatto nel mondo dell’industria potrebbe aprire un nuovo ciclo di ricchezza e benessere, generando valore da semplici dati.

I primi Data scientist sono apparsi in alcune aziende hi-tech della Silicon Valley. A partire dagli ingegneri di Google che hanno mostrato come sia possibile prevedere l’avanzata delle malattie infettive utilizzando enormi quantità di dati raccolti dall’archivio delle ricerche effettuate sul motore di ricerca. Il tutto in tempo reale. Oppure su Facebook e LinkedIn: i due social media utilizzano i Big data per analizzare le reti di conoscenze delle milioni di persone iscritte (Fb ha superato il miliardo di utenti) per confrontarle con i propri sterminati archivi ed estrarre i nomi di persone che potrebbero essere conosciute nel mondo reale ma non ancora collegate. Cioè, scandagliando la rete delle nostre amicizie Facebook e LinkedIn ci suggeriscono quali altri nostri amici sono già in rete, cercando di indovinare che siano effettivamente nostri amici. E il tasso di successo è superiore a qualsiasi aspettativa, con percentuali bulgare.

Un modello statistico di questo tipo può venir applicato a qualsiasi forma di commercio e aumentare esponenzialmente le possibilità di cross-selling. Per il capo della ricerca di LinkedIn, l’indiano DJ Patil, il mondo del futuro sarà fatto da prodotti pensati e costruiti sopra enormi flussi di dati usati per analisi multidimensionali. Chi non capirà matematica e statistica in azienda sarà un analfabeta del business mentre il successo e le carriere più folgoranti nelle grandi imprese saranno per chi riuscirà a sviluppare competenze e attitudini a questo nuovo modo di operare.
Il mondo del XXI secolo prende sempre più la forma di una mole sterminata di bit, quantità gigantesche di informazioni digitali generate ogni giorno al di sopra del mondo fisico fatto di atomi. Chi, come i Data scientist, saprà domare questo mondo complesso otterrà i risultati migliori.

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