Dimostrare quanto dei risultati di un’azienda sia il frutto della decisione del management di investire in strumenti informatici è un’operazione difficile, che riesce soltanto al 34% delle aziende italiane. Ma con il passare del tempo sono sempre di più i Chief information officer che rispondono direttamente all’amministratore delegato, e aumenta la spesa che le compagnie pianificano ed effettuano per la creazione di nuovi servizi di business.
Sono una parte dei risultati dello studio che appena pubblicato da CA Technologies, “TechInsights Report: The Changing Role of IT and What to Do About It”, che ha rilevato sette tendenze che potrebbero decidere il futuro dell’IT nelle organizzazioni italiane. La ricerca è stata condotta da Vanson Bourne su 1.300 IT manager di grandi organizzazioni in 21 Paesi.
“Nell’odierna Application Economy, il software e la tecnologia stanno scardinando i modelli d’impresa, creando realtà ex novo e trasformando interi settori – afferma Fabrizio Tittarelli, Cto di CA Technologies Italia – I clienti italiani esigono applicazioni nuove e una diversa user experience, mentre i dipendenti hanno bisogno di nuovi strumenti per svolgere il loro lavoro in modo produttivo. Il frutto di queste dinamiche è un cambiamento epocale che sta investendo il modo in cui siamo abituati a vedere, acquistare, utilizzare e gestire la tecnologia. I reparti IT delle realtà italiane devono evolversi, cessando di essere semplici fornitori per proporsi come veri e propri consulenti, broker e intermediari per il business, in modo da evitare di rimanere esclusi dall’attuale economia fondata sul software e sulla tecnologia”.
Al primo punto tra le tendenze principali del settore il fatto che le funzioni IT italiane non misurano il valore generato a supporto del business. “Questa prima tendenza è anche la più preoccupante – affermano da CA technologies – se l’IT non riesce a dimostrare concretamente il valore apportato dal proprio contributo, rischia di non avere la credibilità necessaria per proporsi come consulente o come intermediario nei confronti del business”. Lo studio ha rivelato che solamente il 34 per cento delle aziende italiane misura effettivamente i vantaggi derivanti dagli investimenti informatici (dato mondiale: 39 per cento), circa il 27 per cento rende il business partecipe delle principali metriche prestazionali (dato mondiale: 31 per cento), mentre il 35 per cento elabora dei modelli atti a mostrare in che modo eventuali variazioni negli investimenti IT si ripercuoterebbero sul business (dato mondiale: 27 per cento).
Al secondo punto il concetto che il business è l’IT, l’IT è il business. “I manager italiani –spiegano da CA Technolgies – hanno sempre più dimestichezza con la tecnologia, tanto che il 29% della spesa IT viene ormai registrata al di fuori dei reparti IT. Si stima che questa percentuale possa raggiungere il 39 per cento nel giro di tre anni, rimanendo lievemente al di sotto della media mondiale del 44 per cento”.
Al terzo posto il fatto che il CIO tende a riportare direttamente al CEO: In Italia, il 55 per cento dei CIO è ai riporti diretti del CEO (dato EMEA: 65 per cento; dato mondiale: 71 per cento) rispetto al 36 per cento nel 2011 (dato mondiale: 36 per cento).
Al quarto punto c’è la tendenza che fotografa l’aumento della spesa dedicata alla creazione di nuovi servizi di business: “La spesa IT delle imprese italiane interessa sempre di meno il semplice mantenimento dell’operatività ordinaria per concentrarsi invece su nuove iniziative di business – si legge nel comunicato – In Italia, la spesa per nuovi prodotti e servizi dovrebbe passare dal 43 per cento (dato EMEA: 47 per cento; dato mondiale: 49 per cento) al 53 per cento del budget IT totale nei prossimi tre anni, rispetto a un dato EMEA e un dato mondiale del 59 per cento”.
Al punto numero 5 il fatto che l’IT assume il ruolo di consulente/broker per il business: “Il 51 per cento circa delle organizzazioni italiane vede ora il reparto IT come broker di servizi o consulente per le linee funzionali, anziché come fornitore esclusivo di servizi IT. Il dato italiano – spiegano da CA – è il più alto in Europa (dato EMEA: 43 per cento), e si contrappone a una media mondiale del 39 per cento”.
Al punto 6 il fatto che tutti avvertono i cambiamenti, ma non c’è accordo sulla loro portata effettiva: “Fra le organizzazioni italiane è diffusa la consapevolezza che sono in atto un certo numero di cambiamenti, ma pochi riescono ad anticipare le future evoluzioni. Ad esempio, il 41 per cento dei soggetti italiani intervistati è convinto che alcune funzioni passeranno sotto altri reparti, ma che la funzione IT rimarrà un reparto specializzato a sé stante (dato EMEA: 34 per cento; dato mondiale: 34 per cento), mentre il 35 per cento ritiene che le funzioni IT rimarranno immutate rispetto a oggi (dato EMEA: 27 per cento; dato mondiale: 28 per cento)”.
Al settimo e ultimo punto il fatto che si riducono i ruoli prettamente tecnici, mentre crescono quelli legati alla strategia IT a supporto del business: “in Italia il ruolo principale dell’IT aziendale si spoglierà di competenze prettamente tecniche per assumere un profilo più strategico. Lo studio rivela ad esempio che il ruolo addetto alla sicurezza dei dati nevralgici si ridurrà dal 56 per cento al 40 per cento nel giro di tre anni. Durante il medesimo periodo, il bisogno di promuovere nuove iniziative aziendali salirà invece dall’attuale 3 per cento al 12 per cento. Sempre in Italia, il ruolo tecnico di supporto tecnologico ai dipendenti passerà dall’attuale 48 per cento al 44 per cento fra tre anni, mentre il ruolo di partner strategico e consulente del business si amplierà dall’attuale 15 per cento al 29 per cento nel giro di tre anni”.