“Compartimentare le aree colpite da Ebola rappresenta un rimedio arcaico e sul lungo termine inefficiente. Chiudersi è un comportamento di per sé naturale ma allo stesso tempo, oggi più che mai, rappresenta una misura irrealistica che può produrre una serie di effetti collaterali. Con scarsi vantaggi”. Parla così Vittoria Colizza, ricercatrice presso la fondazione Isi di Torino e l’Inserm di Parigi, che in occasione del Better decisions forum for Open e Big data, evento promosso dall’azienda informatica Iconsulting, ha presentato i risultati di uno studio internazionale da lei stessa coordinato. Big data che possono aiutare a sconfiggere le epidemie, poiché se disponibili rapidamente e utilizzati in modo efficiente sono in grado di fornire indicazioni circostanziate sulla propagazione delle malattie, su come limitarne la diffusione e arginarle. “È il caso di Ebola, virus oggetto del nostro studio, che ha valutato l’impatto delle restrizioni di viaggio sulla sua diffusione attuate fino ad oggi dai governi di tutto il mondo”, spiega Colizza, convinta che “la chiusura dei confini, la soppressione dei voli e il divieto di accesso se provenienti da zone infette non costituiscono una forma di prevenzione.
Tutt’altro. Il rischio rimane e si impedisce la circolazione anche degli stessi medici”. Così, incrociando milioni di dati tra cui i volumi di viaggio degli aeroporti commerciali, le restrizioni e la diffusione internazionale del virus, lo studio dimostra che il tentativo di isolamento è inefficace a bloccare l’epidemia. “Viviamo continuamente interconnessi e le limitazioni agli spostamenti potrebbero solo compromettere la connettività della regione interessata, la mobilitazione di risorse per l’intera aera e le operazioni di risposta consone”, precisa Colizza. Le risorse piuttosto andrebbero investite nel controllo locale dell’epidemia nella regione affetta. Ma la ricercatrice va oltre. “Oggi il rapporto tra Big data e medicina sta diventando sempre più stretto. Ma è importante che su questo tema non si confrontino solo gli addetti ai lavori. Occorre coinvolgere tutti i cittadini perché la salute è un tema pubblico; ben venga dunque qualsiasi contributo costruttivo”.
Quello che si richiede è quindi un approccio più partecipativo che cammini di pari passo con il progresso tecnologico e scientifico. Un iter congiunto sul quale concorda Piergiorgio Grossi, direttore di Better decisions e responsabile innovazione di Iconsulting. “A crescere deve essere la sapienza decisionale degli uomini. In tal senso i Big data rappresentano l’occasione per incrementare la nostra consapevolezza e, quindi, la capacità di decidere nel modo migliore su tematiche così attuali e fondanti come la diffusione del virus Ebola”, precisa. Quindi Grossi, particolarmente soddisfatto della riuscita dell’evento a Roma – “abbiamo avuto oltre settecento iscritti, un successo riscontrato anche nelle tappe precedenti a Milano e Bologna” – volge lo sguardo al corpus del convegno: l’importanza dell’analisi di grandi volumi di dati. “Attraverso l’analisi dei dati offriamo un supporto imprescindibile a chi deve prendere decisioni che coinvolgono la vita di milioni di persone. Ma il dato in sé non è sufficiente. Occorre educare la persona a comprenderlo, perché è l’uomo che decide”. Poiché sulla lettura affidabile dei dati possono, oggi e nel futuro, poggiare le decisioni che organizzazioni e governi prendono nell’interesse dei cittadini. Secondo Enrico Giovannini, ex presidente Istat, si tratta infatti di “allineare, per tutti, il ciclo dei dati al ciclo delle decisioni”. Soltanto in questo modo i processi risolutivi potranno poggiare su fondamenta più solide.