IL CASO

Facebook nella task force contro i post razzisti

Dopo le “strigliate” della Merkel e del ministro della Giustizia Maas l’azienda si impegna a combattere con maggior decisione l’hate speech. Ma per ora nessun cambio nelle policy del social network: i rifugiati non sono un gruppo “protetto”

Pubblicato il 17 Set 2015

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Facebook risponde alle “strigliate” della cancelliera tedesca Angela Merkel che nei giorni scorsi aveva esortato il social network a intervenire con maggior decisione per rimuovere i commenti razzisti e in generale tutti i post che incitano all’odio e alla violenza sul social network. In precedenza anche il ministro della Giustizia Heiko Maas aveva accusato il social network americano di fare ben poco per tenere sotto controllo i post razzisti e violenti.

L’azienda di Mark Zuckerberg ha replicato facendo sapere che collaborerà con il governo tedesco per combattere il cosiddetto “hate speech” e la xenofobia online. Come riporta il Wall Street Journal, Facebook lavorerà a stretto contatto col ministro tedesco della Giustizia, gli Internet service provider e altri social network che daranno vita a una task force il cui scopo sarà segnalare e rimuovere i contenuti violenti e razzisti in modo veloce dalle piattaforme online.

Facebook si è anche impegnata a contribuire al finanziamento di organizzazioni che monitorano l’hate speech online, anche se per ora l’azienda non ha detto che cambierà le policy in base alle quali classifica un contenuto come “offensivo”.

La Germania, come noto, ha appena aperto le porte a un numero record di rifugiati: ne sono attesi 800.000, per lo più da Siria e Afghanistan. Molti politici e personaggi dello spettacolo hanno espresso la loro preoccupazione in merito a un’impennata di commenti xenofobi in tedesco su Facebook (e anche su altri social media) connessa proprio con l’emergenza migranti.

“Vogliamo migliorare la capacità di individuare i contenuti che violano la legge e rimuoverli velocemente dal web”, ha affermato il ministro Maas.

In base alla legge tedesca, i commenti pubblici che incitano alla violenza contro un gruppo di pesone per motivi religiosi o etnici rappresentano un reato punibile anche con tre anni di carcere; chi viene condannato per aver negato l’Olocausto ne rischia fino a cinque. Facebook e altre Internet companies rimuovono i contenuti che violano le leggi locali sull’hate speech, ma i governi europei hanno chiesto ai social media di essere più proattivi nel reagire ai messaggi pubblicati sulle loro piattaforme che danno voce alla propaganda dei terroristi o ai movimenti xenofobi.

Il Wall Street Journal nota tuttavia che, in base all’attuale policy di Facebook sull’hate speech, i rifugiati non sono considerati un gruppo protetto perché il sito di Zuckerberg dice di permettere “le critiche alle persone basate sulle loro azioni e non sulla loro identità”.

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