PRIVACY

Apple vs Fbi, siamo solo all’inizio

E’ tempo di ripensare ai rapporti fra gli Stati e ai grandi trattati internazionali che mettono al centro Internet e l’uomo. La rubrica di Rocco Panetta

Pubblicato il 04 Mar 2016

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Chi vincerà la sfida tra privacy e cybersecurity? A chi giova alimentare questa vecchia contrapposizione tra diritti e libertà, da una parte, e sicurezza, fisica ed informatica, dall’altra? Riuscirà il nuovo Privacy Shield e la GDPR, il nuovo regolamento Europeo sulla circolazione dei dati, con i suoi principi di privacy by design, accountability e privacy by default a chiarire una volta per tutte i confini in cui devono restare rispettivamente le esigenze di sicurezza dello Stato, l’incolumità dei cittadini, la legittima difesa dal terrorismo, da un canto, e il godimento di libertà fondamentali, come la libertà e segretezza delle comunicazioni e l’inviolabilità del domicilio, giusto per citarne solo un paio, dall’altro canto? E che fine faranno i legittimi interessi perseguiti dalle aziende nell’utilizzare i dati degli utenti per i loro diversi fini? E’ giusto rimettere ai privati l’onere di valutare la meritevolezza di una richiesta d’autorità di accesso ai dati per finalità di contrasto al terrorismo? Le questioni rischiano di accavallarsi l’una sull’altra. Proviamo a fare chiarezza.

1) La civiltà giuridica europea continentale, costruita con il sangue e le lacrime dei tanti che si sono visti sottrarre diritti e libertà da parte dei regimi totalitari, ha instillato in se stessa una serie di anticorpi che, in teoria, e se tutti rispettassero le leggi, sarebbero sufficienti a far girare privacy e sicurezza nelle loro giuste orbite.

2)I In Italia è già la Costituzione ad introdurre l’ipotesi della doppia riserva di legge e giurisdizione che consente alla magistratura di compiere a fondo il proprio dovere, anche comprimendo temporaneamente diritti e libertà fondamentali dei cittadini al fine di prevenire e perseguire reati, senza che ciò sia considerato un attacco alle libertà.

3) La sicurezza dello Stato e dei suoi cittadini è bene primario che, senza la necessità di ricorrere a leggi speciali, già nella Costituzione, nel codice penale, in quello di procedura penale, nel Codice Privacy, trova ampi spazi per il suo esercizio, in deroga al godimento pieno dei diritti, ma solo in presenza di presupposti stringenti e per periodi di tempo limitati. Detta cosi, la contrapposizione Apple/FBI in Italia difficilmente sarebbe esplosa. Ma le cose non sono mai lineari e semplici.

4) Anzitutto la tecnologia in evoluzione rappresenta una sfida costante alle leggi e alle regole. La tecnologia è nelle mani, anzitutto, di grandi gruppi privati multinazionali, i quali tendono sempre di più a imporre loro standard e loro regole di natura transnazionale.

5) Fin qui, tuttavia, tutto regolare. Ognuno fa il suo interesse. Ma cosa succede se una istituzione statale della giustizia inizia a rincorrere, in maniera creativa, la tecnologia, chiedendo accesso, come nel caso Apple, a informazioni sempre più sensibili su ciascuno di noi? E al tempo stesso, onde evitare gli eccessi che hanno caratterizzato l’azione del controllo di massa perpetrato dalla NSA, possiamo permetterci di far diventare i grandi OTT Over The Top garanti ultimi dei nostri diritti e libertà?

6) Soprattutto, ciò che meno giova alle dinamiche sopra descritte è il non dare segnali e risposte unitarie a queste sfide. Operando in tal modo, cosa succederà quando l’Internet delle Cose dominerà la nostra quotidianità? L’era dei bigdata è tra noi e non possiamo né permettere alla magistratura né ai servizi e men che meno agli investigatori privati l’accesso sempre, comunque e indiscriminato ai dati raccolti dai mille oggetti interconnessi fra loro. Ma non possiamo delegare la tutela dei nostri diritti ai privati, che per lavoro e vocazione devono fare profitti e rispondere alle esigenze dei loro soci.

7) E’tempo di ripensare ai rapporti tra Stati, non nell’ottica emergenziale che ha portato alla sigla del Privacy Shield o alla dialettica lobbistica e manichea che ha caratterizzato il dibattito sulla GDPR. E’ tempo di iniziare a solcare la strada dei grandi trattati internazionali che mettano al centro Internet e l’uomo. Un binomio con cui tutti dobbiamo imparare a fare i conti. Altro che fine di Schengen o Brexit. Occorre unirsi di più e stringere nuovi e duraturi sodalizi.

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