Uber è una startup dell’hi-tech (una app mobile, sostanzialmente) o un’azienda del settore trasporti (un servizio taxi, pur se di nuova concezione)? Se Uber ha cercato di presentarsi e farsi valere, anche a livello legale e contrattuale, solo come player dell’hi-tech, una sentenza del Central London Employment Tribunal ha sconfessato questa strategia considerando Uber a tutti gli effetti un colosso dei trasporti (è valutata, in base ai finanziamenti ricevuti, 63 miliardi di dollari) che impiega forza lavoro e deve riconoscere ai suoi 30.000 autisti a Londra alcuni basilari diritti: quelli al salario minimo e alle ferie pagate.
Si tratta di una sentenza che pesa nella serie di controversie e cause legali che coinvolgono Uber in tutto il mondo e che crea un importante precedente per la startup californiana e il modo in cui gestisce i suoi autisti. Anzi, il tema ha profonde implicazioni non solo per Uber ma per tutta la cosiddetta “gig economy”, di cui la sharing economy fa parte.
I conducenti che guidano le macchine per Uber sono dei lavoratori autonomi freelance (self-employed o independent contractors), secondo l’azienda americana. Gli autisti londinesi, però, si considerano dei dipendenti (employees), con relativi diritti. Il tribunale del lavoro londinese ha optato per una terza definizione – lavoratori (workers): i drivers non possono quindi accedere a tutti i benefit di un dipendente ma ad alcuni basilari diritti sì. La decisione apre la porta a rivendicazioni da parte di tutti gli autisti Uber in Uk (40.000) e oltre, tanto che Uber si è affrettata a presentare appello.
Gli esperti britannici del lavoro pensano che diverse aziende della Internet economy che classificano i loro addetti come freelance indipendenti potrebbero essere costrette a rivedere le loro pratiche. Intanto, il maggiore sindacato britannico, Unite, sta creando un ufficio apposito per occuparsi di tutti i casi in cui i lavoratori sono impropriamente trattati come autonomi e una ricerca di Citizens Advice indica che in Uk potrebbero esserci 460.000 persone che lavorano come “falsi freelance” quando sono di fatto dei “semi-dipendenti”: ciò costerebbe allo Stato britannico 314 milioni di sterline in tasse e contributi previdenziali persi.
Come altre aziende della “gig economy”, prima fra tutte Airbnb, Uber mette a disposizione il brand e il marketing, la tecnologia per collegare domanda e offerta, e i servizi di pagamento. Le piattaforme di queste start-up rendono molto semplice prenotare un servizio “taxi” o un alloggio e liberano le aziende dalla piena responsabilità di assumere o investire capitale, commenta il Financial Times. Nel caso Uber, il tribunale londinese ha però respinto il tentativo dell’azienda californiana di negare le sue responsabilità come datore di lavoro affermando che “l’idea che Uber a Londra sia un mosaico di 30.000 piccole imprese collegate da una piattaforma comune ha un che di ridicolo” e ha anche condannato la startup americana per l’uso di “invenzioni” e “linguaggio contorto” nei suoi contratti.
Questa sentenza si allinea a un’altra emanata da un tribunale della California, ma negli Stati Uniti la questione resta aperta perché altri tribunali Usa hanno dato ragione a Uber accettando le sue classificazioni della forza lavoro.
Il FT riconosce che Uber non è un datore di lavoro in senso tradizionale, soprattutto laddove la normativa distingue rigidamente tra dipendenti e lavoratori autonomi. Ma la normativa andrebbe aggiornata per tenere conto dell’innovazione che crea figure professionali che non ricadono nelle vecchie classificazioni – tanto più che Uber esercita un controllo sui suoi autisti. La tecnologia, conclude il FT, non dovrebbe consentire alle aziende di evitare ogni responsabilità come datore di lavoro se mantengono il potere manageriale sugli addetti, perché ciò limita i diritti dei lavoratori e incide negativamente sul welfare di un paese. Negli Stati Uniti qualche giudice ha suggerito di creare una categoria di “lavoratori indipendenti” che godono di alcuni benefit, tra cui i contributi che il datore di lavoro versa per la pensione e l’assistenza sanitaria.