L'INTERVISTA

Poste, Giacomelli: “Privatizzare è un errore, Telecom docet”

Il sottosegretario alle Comunicazioni: “La seconda tranche dell’operazione richiede una riflessione: per garantire redditività potrebbero essere penalizzati sportelli, recapiti e personale”

Pubblicato il 09 Feb 2017

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Antonello Giacomelli esprime tutte le sue perplessità sulla privatizzazione della seconda tranche di Poste, che prevede che finisca sul mercato un altro 30% della società entro l’anno. Il sottosegretario al Mise con delega alle Comunicazioni lancia con una lettera indirizzata al presidente del Pd, Matteo Orfini, al segretario Matteo Renzi, e ai capigruppo del partito alla Camera e al Senato, Ettore Rosato e Luigi Zanda, un appello per riconsiderare con attenzione la scelta, nonostante l’operazione sia stata presa in considerazione e prospettata a Bruxelles come parte delle misure per rimettere a posto i conti del Paese:

“La scelta di procedere ad una ulteriore collocazione sul mercato di una quota del capitale di Poste Italiane, avanzata nelle ultime settimane, ha implicazioni molto serie – scrive Giacomelli – Implicazioni che credo vadano ben ponderate dalla maggioranza che sostiene il governo e, prima di tutto, dai gruppi parlamentari del Pd. Vorrei, però, sgombrare il campo da un equivoco. Non è in discussione la necessità di ridurre il debito pubblico ma, in nome di questa esigenza, non si può certo porre ogni ipotesi di privatizzazione sullo stesso piano”.

La società era stata quotata in borsa nel 2015, quando il Mef aveva dismesso il 35,5% del capitale. Poi la cessione a Cassa Depositi e prestiti di un ulteriore 30%, e ora di parla di mettere sul mercato un’altra quota del 30%, che secondo le indiscrezioni avrebbe potuto andare in porto tra giugno e luglio.

Poste ha una rete capillare di sportelli diffusi su tutto il territorio nazionale, impiega circa 140mila lavoratori di cui 70mila negli uffici postali e altri 60mila in servizi postali. Ma non è tutto: ha una raccolta di 500 miliardi di euro, che sono i risparmi di 32 milioni di italiani. Soprattutto pensionati, casalinghe, impiegati. Con 350 miliardi di euro di buoni e libretti postali e 130 miliardi di BTp, acquisiti con le giacenze dei conti correnti e la raccolta assicurativa, oggi Poste è la più grande cassaforte degli italiani e garantisce circa un quarto del debito pubblico – afferma Giacomelli – Poste è anche un player strategico nella trasformazione digitale del Paese. Proprio per questo, non è difficile immaginare che i soggetti interessati ad acquisire una seconda tranche di privatizzazione di Poste siano da ricercarsi tra gli investitori finanziari internazionali e che la collocazione sul mercato, per ottenere un esito positivo, debba garantire una stabilità di rendimento. Sono due i pericoli che intravedo nel medio periodo – sottolinea il sottosegretario – Se è vero che la politica dei dividendi rischia di entrare in crisi per una serie di motivi, temo che, per mantenere la promessa di alti rendimenti, si finisca per intervenire drasticamente su aspetti di minor interesse finanziario ma di maggiore utilità sociale, ovvero a discapito della rete di sportelli, del recapito, del personale dedicato ai servizi locali”.

“Fin qui si è riusciti a gestire l’impatto di queste misure legate alla prima tranche di privatizzazione – prosegue – non vorrei però che la vendita di un secondo pacchetto di azioni inevitabilmente finisca per incidere fortemente sul ruolo di Poste e del suo servizio, oltre che sul livello occupazionale. Senza contare che si finirebbe per consegnare il risparmio degli italiani agli investitori internazionali, emanazione di banche d’affari straniere, con possibili riflessi anche sulla collocazione del debito pubblico”.

“Credo quindi che, nei termini e nelle modalità in cui riterrete opportuno – conclude Giacomelli – ci sia spazio per una riflessione approfondita e per una scelta consapevole da parte della maggioranza che sostiene il governo prima che siano compiuti passi irrevocabili”.

Sul tema il sottosegretario aveva parlato anche oggi in un’intervista a Repubblica: “Ridurre il debito non significa che tutto il privatizzabile si possa mettere sullo stesso piano – spiega – Specie se le conseguenze sulla tenuta sociale sono rilevanti. Vent’anni fa abbiamo fatto la stessa scelta su Telecom. E oggi siamo l’unico Paese con una rete privatizzata. Non credo che oggi lo rifaremmo. Non porrei in contrapposizione l’impegno sacrosanto per la discesa del debito e la valorizzazione di strumenti strategici. Poste è una rete di tenuta del Paese”.

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