«Certamente è positivo che il governo abbia posto particolare attenzione al tema della smart city, provando a mettere a sistema quanto fatto finora, ma nell’Agenda digitale non c’è una definizione di città intelligente che sia, in qualche modo, il campo base filosofico che anima i progetti». Michele Vianello, direttore generale di Vega Park, spiega cosa manca alla strategia smart del governo Monti.
Qual è il limite dell’Agenda digitale?
Il provvedimento non chiarisce di cosa stiamo parlando quando parliamo di smart city. Mi spiego: finora, prevalendo fortemente la cultura dei vendor, la città intelligente è stata quella in cui si sono sparsi sensori in ogni dove, dove troviamo il lampione con il wi-fi embedded. In altre parole è una città piena di “oggetti” innovativi. Ma la comunità del futuro non è unione di software e hardware, non è un assemblaggio stocastico di “innovazione”. La città intelligente è il luogo dove le persone utilizzano la tecnologia in modo consapevole, generando essi stessi conoscenza. In questo senso è utile elaborare una gerarchia delle tecnologie abilitanti.
Che sarebbero?
Al primo posto il metto il cloud computing – che nel caso delle smart communties diventa “social cloud” – inteso come luogo in cui si mettono in relazione dati che provengono da fonti diverse, generando una catena di valore sociale ed economico che ricade positivamente su imprese, PA e cittadini. La smart city deve essere per prima cosa una piattaforma di dati di cui si fa uno uso “smart”. Al secondo posto metto il Mobile, smartphone e tablet.
Ma non ha appena detto che dobbiamo smettere di pensare agli “oggetti”?
Anche in questo caso si tratta di farne un utilizzo consapevole. Nella nostra città i dati digitalizzati vengono “mesciati” (da mashup ndr) con le notizie rilevate da un sensore per la qualità dell’aria e trasferite sul nostro iPhone, ad esempio. Queste informazioni vengono a loro volta integrate con i nostri commenti su Facebook, vengono taggati su Flickr. Si crea così un circolo virtuoso dove la conoscenza si mette in rete, si condivide: la smart city è anche piattaforma di creazione di cultura.
L’uso consapevole dell’Ict a cui fa riferimento implica un forte investimento in formazione digitale…
Il tema della formazione digitale è centrale. Ma bisogna sgomberare il campo da alcuni equivoci: formare i cittadini non significa insegnare loro ad accendere e spegnere il pc – errore in cui sono incorsi molti amministratori – ma accompagnarli a sfruttare le potenzialità della Rete e far capire che, oggi, è lì dentro che si fa cultura, lì che si fruiscono i servizi. Ecco, nella città che punta a diventare intelligente ci devono essere spazi deputati a fare questo.
Ma in Italia ci sono questi spazi?
Abbiamo una rete capillare di sportelli postali ad altissima frequentazione che potrebbero essere trasformati in centri di formazione ed erogazione di servizi digitali. L’Italia ha le sue peculiarità, che possono e devono essere messe a sistema: non abbiamo bisogno di progetti pilota, stile Saemangeum (la città che il governo coreano intende costruire ex novo ndr), ma di elaborare una strategia che vada bene per tutte le nostre città, nel centro storico di Roma così come nella periferia di Milano, proprio cercando le discriminanti da mettere a fattor comune.
L’Agenda digitale dedica ampio spazio al tema delle infrastrutture, banda larga e smart grid, come elementi abilitanti alle comunità del futuro. Questo approccio la convince?
Ritengo necessario e non più procastinabile un investimento massiccio per infrastrutturare le aree urbane. Una città non è smart se non ci sono le condizioni infrastrutturali per essere collegati al web, ovviamente. Tuttavia non è una condizione sufficiente. La città intelligente è il luogo che cambia il nostro modo di vivere. Se la conoscenza virtualizzata è diffusa ed accessibile viene meno una delle costanti della città contemporanea. Mi riferisco alla contestualizzazione dei luoghi e del tempo. Oggi, ad esempio, l’idea di attività lavorativa è legata ad un orario e ad un luogo. Ma, se la conoscenza è disponibile in ogni luogo, viene meno l’obbligo indissolubilmente a legare spazio e tempo. Le attività possono essere decontestualizzate generando benefici immensi per l’ambiente. Questa è la mia visione di una città intelligente.
AGENDA DIGITALE
Vianello: “Smart city? Ci vuole l’anima”
Parla il dg del Vega Park: “Non basta l’Ict, la città intelligente si fa rendendo consapevoli i cittadini”
Pubblicato il 31 Ott 2012
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