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Se la scuola diffida dell’e-book

La forte prevenzione sui libri di testi digitali frena l’innovazione in Italia

Pubblicato il 08 Apr 2013

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Quasi cinquanta chili. Questo il peso dei libri di scuola che non poche volte nella settimana deve trasportare un ragazzino che frequenti una delle scuole medie più esclusive di Roma, il San Giuseppe de Merode, dove si paga una retta da 700 euro al mese. Ciò che intriga è la preparazione informatica di ottimo livello impartita da quella scuola. Tutto il pacchetto Office è ben conosciuto e speditamente praticato da quegli alunni che stupiscono i propri genitori. C’è tuttavia, evidente, una forte prevenzione per l’e-book. Il fenomeno riguarda un po’ tutte le scuole religiose di Roma, gesuiti e salesiani inclusi, sebbene anche in questi istituti l’informatica sia ottimamente insegnata. È un mistero la ragione che induce a preferire il pesante e limitato libro di carta, all’ e-book ricco di infiniti ipertesti. È curioso che sia stato un gesuita, padre Roberto Busa, scomparso ad agosto 2011, l’inventore della linguistica informatica, anticipatore dell’ipertesto attivo sul Web, ben prima rispetto agli inarrivabili americani. Padre Busa convinse l’Ibm che si poteva mandare al macero la macchina da scrivere. Il lemma “Hypertext” fu coniato da Ted Nelson nel 1965, ma fu padre Busa che creò l’ipertesto, 15 anni prima di Nelson. Qual è la ragione che frena l’adozione dell’e-book, che invece impazza nelle scuole esclusive del centro e nord Europa? Forse la sacralità di un testo di carta si potrebbe banalizzare in un e-book, e i buoni padri ne ritardano l’introduzione paventandone l’irruzione sull’altare. Forse. Sta a vedere che anche qui arriverà una soluzione da Francesco, gesuita, allergico all’oro e agli orpelli, ma intelligente delibatore (e non succube) della modernità.

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