AGENDA DIGITALE

La PA italiana “esclude” le Pmi digitali, la denuncia di Assintel

L’associazione punta il dito contro le procedure di gara e la concorrenza delle in house che determina un downpricing delle tariffe: “Così si favoriscono solo i big del mercato. Processi più snelli per agevolare il mercato”

Pubblicato il 07 Set 2017

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I tempi e le procedure di gara troppo lenti rispetto alla velocità con cui si evolve il digitale e criteri di risparmio che innescano offerte al ribasso estremo intaccando la qualità dei servizi acquistati. La denuncia arriva da Assintel, l’associazione delle Pmi dell’Ict, ascoltata oggi dalla commissione di inchiesta sulla PA digitale presieduta da Paolo Coppola.

“La corsa al ribasso nei bandi di gara ha infatti favorito la sola partecipazione di pochi, grandi big dell’Ict, che possono permettersi di lavorare sottocosto, i quali danno poi i lavori in subappalto alle piccole imprese”, denuncia il presidente Giorgio Rapari. Tra gli effetti nefasti, in primo luogo le tariffe che scendono oltre la soglia minima di sostenibilità, con l’effetto che le Pmi sono costrette ad accettare di abbassare la qualità dei servizi e delle prestazioni stesse, a discapito quindi del cliente.

“Si attiva inoltre un perverso meccanismo di natura economico/finanziaria secondo cui le imprese che operano in subappalto “fanno da banca” in quanto sono assoggettate ai tempi di pagamento delle imprese appaltanti – spiega Rapari – Infine, si amplifica l’utilizzo di risorse meno qualificate, che costano meno, o di contratti di lavoro atipici per poter risparmiare sui costi fissi.
Assintel una soluzione anche attraverso il ripristino di bandi e di modalità di aggiudicazione in grado di garantire prestazioni remunerate a reali tariffe di mercato, compatibili quindi con i costi effettivi delle risorse proposte. “Serve poi – prosegue – una rimodulazione dei parametri economici di partecipazione alle gare, in modo da dare uguali opportunità anche alle piccole imprese singole o aggregate”.

Ad ostacolare la concorrenza anche le in house. “Il downpricing delle tariffe Ict viene oltremodo amplificato dal fenomeno per cui alcune Pubbliche Amministrazioni scelgono di crearsi in-house i servizi Ict necessari, e successivamente li rivendono sul mercato con tariffe sotto costo, grazie alle particolari condizioni di tutela in cui operano. In questo modo è come se utilizzassero i soldi dei contribuenti, tra i quali le aziende private Ict, per fare concorrenza sleale alle stesse aziende, inquinando di fatto le dinamiche del libero mercato – avverte Rapari – Occorre in tal senso una regolazione a monte che impedisca, o corregga, l’accesso delle in-house al mercato. Andrebbero altresì estese ad altri enti locali, attraverso un coordinamento centralizzato, alcune esperienze virtuose come quella trentina, che ha definito un vero e proprio progetto di sviluppo di infrastrutture e strumenti digitali, attraverso l’attivazione di partnership e sinergie con le imprese innovative del territorio”.

Sul versante “tempi” di gara Assintel denuncia la disfunzione per cui tra il bando e l’aggiudicazione possano passare anche due anni rendendo le tecnologie previste dal progetto già obsolete al momento dell’assegnazione.

Per l’associazione “il nostro sistema non è capace di ascoltare le innovazioni che arrivano dal tessuto delle piccole imprese”, motivo per cui seriverebbe istituire “uno sportello per l’innovazione, presso Agid o Consip, dove le imprese medio-piccole possano presentare nel rispetto dei vincoli di riservatezza le loro soluzioni e ricevere a seconda dei casi un attestato di qualità da utilizzare nei prossimi appalti, la possibilità di avviare sperimentazioni remunerate o forniture di prova, l’inserimento delle soluzioni in un catalogo di soluzioni candidabili per il futuro, mentre la PA potrebbe valutare se vi sono elementi di interesse da inserire nei bandi di gara”.

Focus infine sulla spesa Ict che, secondo le Pmi dell’Ict, tende a valorizzare la gestione dell’esistente e non l’innovazione. “In regime di continuo e progressivo contenimento della spesa, andrebbe valutata con attenzione da parte degli organi preposti la reale composizione della spesa Ict delle PA, al fine di evitare, così come spesso accade, che in essa rientrino in misura significativa attività specificatamente di gestione o di mero supporto operativo – conclude Rapari – Tale fenomeno, peraltro, appare particolarmente distorsivo in combinazione con i sensibili contenimenti dei budget assegnati al tema Ict a cui si sta annualmente assistendo: infatti la sostanziale anelasticità dei fabbisogni di funzioni di supporto finisce per generare delle compressioni soprattutto della spesa e degli investimenti realmente associati all’Ict. A tal proposito si sottolinea la necessità di dover stimolare la partecipazione delle PA a sviluppare progetti intercettando risorse in partnership con le forze produttive del territorio”.

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