L’INTERVISTA

Grassia, Etno: “Percorso Tlc è tracciato, ora serve la volontà politica”



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Frammentazione, nanismo ed erosione del ritorno sugli investimenti sono evidenti in tutta Europa. “Si è svalutato il ruolo strategico del settore e dei suoi asset, la nuova Commissione Ue mandi avanti il Digital Networks Act”

Pubblicato il 26 giu 2024



Grassia

“Siamo tutti in attesa di capire quale maggioranza prenderà forma al Parlamento europeo, se Ursula von der Leyen sarà riconfermata alla presidenza della Commissione, e quali saranno le priorità del prossimo quinquennio. Tuttavia, per quanto riguarda le telecomunicazioni, il percorso è già stato tracciato”. Paolo Grassia, Senior Director of Public Policy Etno, fa il punto con CorCom in occasione di Telco per l’Italia 2024 anche in merito alla posizione dell’associazione nell’ambito della consultazione pubblica sul White Paper Ue “How to Master Europe’s Digital Infrastructure Needs”.

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“Con il White Paper di febbraio, la Commissione ha messo in luce le grandi questioni con cui l’Ue deve confrontarsi: la necessità di investire massicciamente nelle nuove tecnologie che stanno rivoluzionando le reti e i servizi, di riformare il quadro regolamentare alla luce dell’evoluzione dei mercati e di garantire la sicurezza delle nostre infrastrutture digitali in questo clima di turbolenza geopolitica. Insomma, il bisogno di una nuova politica industriale per il settore telecom. La visione è stata delineata, ora serve la volontà politica per realizzarla”, aggiunge.

Grassia, quindi una strategia che continui a puntare alla sovranità tecnologica?

Parliamo di una politica industriale che rafforzi sia la competitività europea, sia la sua autonomia strategica. Le nostre reti stanno evolvendo rapidamente e dipenderanno sempre più da cloud computing, intelligenza artificiale, virtualizzazione e altre tecnologie che, ad oggi, sono principalmente “made in America” o “made in Asia”. Nel frattempo, la fetta di mercato Ict globale dell’industria europea è crollata del 10% in meno di 10 anni. Se vogliamo stimolare la competitività dell’ecosistema europeo che ruota attorno al settore telecom, riducendo di conseguenza la dipendenza da pochi, grossi fornitori globali, urge innanzitutto ripensare i meccanismi di finanziamento Ue per dotarli di risorse adeguate, snellirne la burocrazia, e assicurarne un reale impatto sul mercato e sugli obiettivi strategici. Basti guardare al “Public Wireless Supply Chain Innovation Fund” con cui l’amministrazione americana sta investendo 1,5 miliardi di dollari per accelerare lo sviluppo dell’Open Ran.

Come dovrebbe essere ripensata la regolamentazione?

È fuori questione che il quadro legislativo europeo abbia garantito agli utenti ampia scelta e prezzi convenienti. Eurostat certifica che i prezzi di fisso e mobile nell’UE sono costantemente diminuiti e sono in generale inferiori rispetto a paesi come Usa, Giappone e Corea del Sud. Allo stesso tempo, i problemi strutturali che affliggono il settore – frammentazione, “nanismo” indotto da regolamentazione e disciplina della concorrenza, erosione del ritorno sugli investimenti – sono evidenti non solo in Italia, ma in tutta Europa. Abbiamo svalutato il ruolo strategico del settore telecom e dei suoi asset, rendendoli facile preda di strategie aziendali e capitali stranieri che perseguono obiettivi di profittabilità a breve termine, ma rischiano di renderli ancora più fragili nel lungo periodo. Occorre ribilanciare il quadro normativo in modo da preservarne i benefici per i consumatori e, al contempo, sanare le debolezze strutturali del settore e renderlo più attrattivo per investimenti sostenibili.

Quale dovrebbe essere dunque la ricetta?

Il cambio di paradigma regolamentare dovrebbe passare da quattro direttrici. Primo, dare agli operatori una prospettiva di scalabilità, anche attraverso un consolidamento a livello nazionale. L’eccessiva frammentazione del mercato è ormai riconosciuta dalla Commissione Ue ed Enrico Letta, nel suo rapporto sul mercato unico, ha riaffermato quanto essa limiti la capacità del settore di mobilitare gli investimenti necessari a raggiungere gli obiettivi del decennio digitale. La politica della concorrenza deve essere riconciliata con una nuova politica industriale.

Secondo, modernizzare il quadro normativo sull’accesso alla rete architettato quando lo scopo primario era creare concorrenza in condizioni di monopolio. Oggigiorno, i mercati nell’Ue sono altamente competitivi e l’utente finale gode di un’offerta variegata. Ancora una volta, questa competitività va preservata, ma bisogna tenere conto che la priorità attuale sono gli investimenti.

Terzo, promuovere una gestione delle frequenze che potenzi il 5G e getti le basi per il 6G. Per questo, sono necessari maggiore coerenza dei processi di assegnazione e durata delle licenze in linea con l’orizzonte temporale degli investimenti.

Infine, correggere le persistenti asimmetrie normative e contrattuali che caratterizzano l’ecosistema online, facendo sì che le Big Tech remunerino adeguatamente il trasporto dati fornito dagli operatori europei a fronte dell’esponenziale aumento del traffico Internet.

Spero che la prossima Commissione europea possa riassumere questi principi fondanti di una politica industriale integrata per le infrastrutture digitali in tre parole: Digital Networks Act.

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