L'ANALISI

Ott, per l’Italia 150mila posti di lavoro persi

Nel giro di 10 anni il fatturato italiano Over the top potrebbe superare quello delle telco. Con conseguente impatto sull’occupazione causato dall’erosione dei servizi di telefonia, intrattenimento, editoria e pubblicità. Il tema al centro dell’incontro Asati

Pubblicato il 14 Mar 2013

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L’appuntamento del 12 marzo agli Horti Sallustiani organizzato dalla ASATI (Associazione piccoli azionisti di Telecom Italia) non ha rappresentato solamente un incontro per discutere il presente e il futuro dell’ex monopolista dei telefoni ma ha delineato le linee guida per affrontare quella che oramai tra gli addetti ai lavori viene definita come la “riprogrammazione del settore TLC”.

Il convegno si è aperto con l’intervento di Guido Antolini, presidente della Federazione europea dei dipendenti azionisti, che ha sottolineato le carenze e le criticità del ruolo del dipendente azionista in Italia. Il confronto con il resto dei Paesi della Comunità Europea ha evidenziato una ridotta partecipazione, soprattutto se confrontata con Paesi come la Francia anni luce più avanti nella cultura dell’azionariato diffuso.

Maurizio Matteo Dècina: 150 mila posti di lavoro in meno in seguito agli Over the Top

All’intervento di Antolini ha fatto seguito la relazione di Maurizio Matteo Dècina, economista e responsabile dell’ufficio studi della ASATI. La prima slide proiettata da Dècina ha illustrato aspetti allarmanti sugli sviluppi del settore: da una parte il declino del fatturato dei Telco, dall’altra l’esponenziale crescita degli Over the Top. Secondo una proiezione realizzata attraverso lo storico dei dati Net Consulting, nel giro di 10 anni il fatturato italiano degli Over the Top potrebbe superare quello dei Telco. Un problema ancor più grave per il sistema Paese, mai come oggi alle prese con una disoccupazione galoppante. Le stime di Dècina si attestano sui 100-150 mila posti di lavoro in meno dovuti all’impatto degli OTT nei prossimi 10 anni a causa dell’erosione dei servizi di telefonia, intrattenimento, editoria e pubblicità.

“Ci troviamo di fronte a signori che eludono le norme sulla privacy, come lo stesso Bernabè ha ribadito nel suo libro “Libertà vigilata”, che godono di immunità politica ed evadono le imposte con intricati sistemi fiscali”, ha detto Dècina sottolineando come un possibile contenzioso fiscale di 600 milioni equivalga già oggi a 20.000 posti di lavoro. Cosa possono fare allora le telco? Tantissime cose, a partire dagli illimitati teleservizi (teleassistenza, domotica, telelavoro, applicazioni per il Made in Italy..), ai pacchetti voce-dati-TV fino al potenziamento delle infrastrutture.

Nell’ottica di trovare i fondi per l’NGN, l’ipotesi dello scorporo viene accolta come una opportunità da parte dei piccoli azionisti purché il prezzo sia coerente col valore effettivo della rete e che la quota ceduta sia minoritaria. Il business plan di ASATI indica nella rete un valore compreso tra 15 e 20 miliardi. Quest’ultima cifra raggiunta qualora si utilizzi un tasso di sconto “ombra” che valorizzi anche l’impatto sul PIL della nuova rete. L’intervento di Dècina si è chiuso con una provocazione: “Dobbiamo fare tantissime cose e non troviamo i soldi perché i 270 miliardi concessi dalla BCE sono finiti in mano alle banche che ne hanno approfittato per comprare titoli pubblici più redditizi. Proponiamo allora una Banca pubblica per l’innovazione che stampi moneta…almeno qualcosa si muoverebbe anche dal punto di vista tecnologico”.

Marco Patuano: l’utente al centro dell’Universo

“Finora abbiamo fatto una politica monetaria di rigore, adesso occorre investire in infrastrutture – ha sottolineato Marco Patuanoaltrimenti il ciclo economico non riparte.” l’AD di Telecom Italia ha elencato le priorità del Piano Industriale 2013-2015: ricondurre il rapporto debito/fatturato ad un livello sostenibile ed investire in reti a larga banda puntando anche sul cloud computing. L’evoluzione delle politiche di marketing convergeranno verso il flat rate, ma sarebbe un errore gravissimo concentrare il focus esclusivamente sul prezzo. Un basso prezzo senza una buona qualità conduce solamente in un vicolo cieco. “ Il cambiamento sociologico ha portato l’individuo al centro dell’universo – ha detto ancora Patuano – le nuove reti daranno la possibilità di usufruire dei servizi con modalità personalizzate”. In tale direzione è veicolata la strategia di Telecom di erogare servizi di intrattenimento via fibra in modo tale da consentire agli utenti di ritagliarsi servizi customizzati alle esigenze e agli stili di vita di ciascun consumatore. Patuano ha ribadito inoltre che Telecom è una azienda sana e robusta che gode di una consistente cassa, per l’85% derivante dal mercato domestico. Il top manager ha sottolineato che per l’LTE si è giunti alla copertura della ventiduesima città mentre per l’NGN fissa il traguardo delle prime 100 città: è una strada percorribile, anche utilizzando i fondi stanziati dalla comunità europea (380 milioni di di Euro), cui si aggiungeranno altri 350 milioni per il digital divide.

Franco Lombardi: il Piano“Sequester”

Alessandro Fogliati, vicepresidente ASATI e fondatore nel 1995 della prima associazione di dipendenti azionisti. ha ricordato i passi che portarono alla privatizzazione di Telecom in modo poco consono alle regole e agli standard di un Paese civile: il leverage buyout dei “capitani coraggiosi”, l’esclusione dei dipendenti azionisti e i tantissimi casi di “mala gestio”. Tutti episodi in cui la responsabilità della classe dirigente è una macchia indelebile nella storia industriale del Paese. A Fogliati è seguito l’intervento del presidente di Asati Franco Lombardi che ha ripetuto a gran voce come l’azienda sia stata devastata da operazioni quali le varie acquisizioni e fusioni a debito e non ultima la vicenda del cospicuo patrimonio immobiliare.

Lombardi ha fornito le cifre della svendita degli immobili con numeri imbarazzanti al punto che la media dei prezzi è stata di 900 euro al metro quadri. Immobili la cui cessione è passata attraverso il solito gioco delle scatole cinesi. “Il conflitto di interessi degli azionisti di maggioranza, dal 2000 ad oggi, è il vero “unicum” che ha contribuito in maniera pesante a portare Telecom Italia “vicino” ad un disastro annunciato. Il titolo anche se sottostimato potrebbe essere considerato quasi “junker bond”. Ha osservato Lombardi. Ma è possibile salvare Telecom Italia da questo sentiment dei mercati? “Assolutamente sì, se dipendenti e management, azionisti ed il nuovo Governo lavoreranno uniti ad un progetto indispensabile per il Paese”

Ma il conto non lo dovranno pagare solo piccoli azionisti e dipendenti. “ Da oggi parte il piano “Sequester”; se non volete un dieci stelle dentro Telecom dovete dare un esempio etico: ridurre lo stipendio a tutta la dirigenza…” propone Lombardi ad una platea gremita in prima linea da Bernabè, l’ex ministro Gentiloni, De Julio (ex AD TIM) e tanti altri top manager e dirigenti.

Oggi gli stipendi più alti e più bassi sono in un rapporto di 1 a 100 (la «regola aurea» di Adriano Olivetti diceva che a nessuno era dato avere più di 12 volte il salario minimo). Il piano “Sequester” di Asati prevede un rapporto di 1 a 30, “più compatibile con l’etica di oggi”. Bisogna intervenire proporzionalmente sul piano di tutta la dirigenza riducendo del 30 % la parte eccedente di tutti i dirigenti superiore ai 150.000 euro.

Franco Bernabè: Le telco non si estingueranno

Tre principi scritti su una lapide: riduzione del debito, contenimento dei costi ed investimenti in infrastrutture. Questa la sintesi dell’intervento, pacato e ragionato del presidente di Telecom Italia Franco Bernabè, nonostante la sua non facile posizione di “ostaggio” dei piccoli azionisti. Il problema del debito rimane comunque elevato, circa il 100% del fatturato, ed impedisce qualsiasi piano di investimento su larga scala. Ma a ciò si aggiunge il pessimismo generale che aleggia nel mondo delle Telco. “Oggi il mercato ci vede come dinosauri, come animali in via di estinzione sostituiti dagli Over the Top. Le comunità finanziarie ci vedono come dei semplici tubi che trasportano dati – ha commentato – Ma la sfida è proprio questa: dimostrare che noi siamo ben altro che tubi. I risultati di questa lotta per la sopravvivenza non sono però scontati. È possibile il contrario: che fra 10-20 anni saranno gli OTT a scomparire.”

Gli OTT, infatti, non possiedono né infrastrutture né possono disporre di capitale umano per assicurare la qualità dei servizi. Si pensi ad esempio all’attenzione al cliente, tanto criticata dai consumatori. Cosa avverrebbe se un utente che spedisce una lettera alla fidanzata sapesse che il postino apre la lettera per indicizzare le parole chiave a fini pubblicitari? Da questo semplice esempio come possono gli OTT assicurare ai clienti gli stessi standard forniti dagli operatori tradizionali? “Le Telco hanno tantissimo da dare, dobbiamo resistere e non farci intimidire. Le possibilità e le potenzialità del settore sono enormi. Bisogna avere la convinzione che le decisioni prese siano quelle giuste. Fare qualcosa di diverso rispetto alle tre priorità della riduzione del debito, del contenimento dei costi e degli investimenti in infrastrutture sarebbe errato. Bisogna crederci e lavorare tutti insieme”.

Tra i numerosi dipendenti che hanno preso la parola con domande e suggerimenti oltre a quello di Luigi Zarrillo (consigliere ASATI) va segnalato l’intervento di Mauro Martinez, responsabile della associazione dei Quadri, che ha ribadito il ruolo e l’attività del middle management di Telecom Italia sia dal punto di vista puramente produttivo che tipicamente gestionale. Martinez ha sottolineato la crescente partecipazione dei dipendenti azionisti ed ha anche auspicato gruppi di lavoro misti per un maggior coinvolgimento del middle management nelle decisioni strategiche.

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