La linea di traguardo dell’Agenda digitale europea è ancora distante. Ma se l’Italia intende presentarsi all’appuntamento del 2020 con tutti gli “indicatori” in regola, cioè allineati agli obiettivi previsti dalla Commissione, dovrà moltiplicare gli sforzi. Il ritardo in buona parte delle aree individuate dalla strategia comunitaria per il digitale rimane pronunciato, e talvolta cronico, nonostante l’affiorare di alcuni timidi progressi. L’alfabetizzazione informatica degli italiani, in special modo, incarna il fronte più critico.
Secondo stime della Commissione nel 2011 appena il 51% della popolazione italiana utilizzava internet almeno una volta a settimana: 17 punti in meno rispetto alla media europea, con un distacco di addirittura 26 lunghezze dalla capolista Germania. “Quasi il 40% degli italiani non ha mai navigato in rete, ciò che significa essere tagliati fuori da una miniera di opportunità”, ha ricordato il Commissario per l’Agenda Digitale Neelie Kroes in un recente intervento a Milano.
È vero che secondo gli ultimi dati in possesso di Bruxelles il gap si sarebbe accorciato, ma solo di una manciata d’incollature. Del resto agli elevati livelli di analfabetismo digitale si lega un’altra sequela di valori in profondo rosso se raffrontati alla maggioranza dei paesi Ue. Sull’acquisto di prodotti e servizi in rete l’Italia saggia gli ultimi gradini della classifica europea. Non più del 15% della popolazione ha abbracciato i comfort dell’e-commerce. E questa volta siamo 27 punti dietro la media comunitaria. Solo Romania, Bulgaria, Lituania, Grecia e Portogallo fanno peggio di noi. Il dato si fa ancor più drammatico se si prendono in considerazione le aziende che vendono prodotti online: un modico 3,8%.
Senza contare che, seppur virtualmente tutte le amministrazioni pubbliche sono presenti su Internet, meno di un quarto degli italiani s’interfaccia con esse per via telematica. E il ricorso a servizi e-gov si sarebbe addirittura ridotto negli ultimi due anni. Il guaio è che in tutti questi ambiti la Commissione ha fissato target ben più elevati già per il 2015: tra due anni il quoziente di popolazione europea che acquista in rete dovrebbe toccare il 50%, quella che usa regolarmente internet il 75%, e ancora almeno il 33% delle Pmi dovrebbe essere capace di vendere prodotti online. Alla fine della fiera, uno dei pochissimi valori di questa macro-categoria in cui l’Italia primeggia è quello relativo all’utilizzo dei social network.
Sulla diffusione della banda larga, forse l’asse più importante dell’Agenda digitale, il bilancio dell’Italia è tuttavia più in chiaroscuro. In particolare, la banda larga mobile dalle nostre parti conosce un tasso di penetrazione senza pari nel Vecchio Continente: 31,2% contro una media del 20% in Europa (quello della banda larga fissa è al 22,2 %, circa 5 punti sotto la media comunitaria). Allo stesso tempo, se si prende a riferimento l’obiettivo dell’Agenda digitale europea di portare la copertura della banda larga “di base” (2 Mbps) al 100% della popolazione entro il 2013, il Belpaese dovrebbe essere prossimo al traguardo (siamo al 98,5%).
Tuttavia questi dati sono controbilanciati da un forte ritardo sulla diffusione delle reti di nuova generazione. Nel 2011 solo l’8,2% delle reti fisse italiane, sempre secondo la Commissione, fornivano una velocità pari o al di sopra dei 10 Mbps. E si tratta di una nota dolente se si pensa che l’Agenda digitale europea auspica il 100% di copertura di internet a 30 Mbps (e il 50% a 100 Mbps) entro il 2020. Certo, qualcosa comincia a muoversi. Stando ai risultati di una consultazione pubblica del Ministero per lo Sviluppo Economico entro il 2015 il 28% degli italiani disporrà di una connessione a banda ultralarga per via dei massicci piani d’investimento lanciati dagli operatori. Investimenti però in larghissima parte circoscritti ai grandi centri urbani. Ecco perché lo stesso Ministero è sceso direttamente in campo con bandi per oltre 900 milioni di euro destinati alle regioni del Sud. Una luce in fondo al tunnel.