Una serie di ricorsi si è abbattuta sulla gara Consip da 2,5 miliardi di euro per il nuovo Sistema pubblico di connettività (Spc), che dovrebbe essere il primo asse portante della rivoluzione della Pa digitale a cui lavora l’Agenzia per l’Italia Digitale.
A quanto risulta al nostro giornale, nove partecipanti su dieci- tra cui Telecom Italia, Hp, Engineering, Almaviva- si sono rivolti al Tar del Lazio (fa eccezione solo Fastweb), per diversi motivi. Agostino Ragosa, direttore dell’Agenzia, fa sapere che rimedierà presto, rivedendo i termini, e che quindi la gara non dovrebbe subire ritardi.
“Com’è strutturato il bando di gara, per vincere dovremmo fare prezzi che rischiano di essere non replicabili dai concorrenti, cosa che però ci è preclusa dalla regolamentazione Agcom”, fanno sapere da Telecom Italia al Corriere delle Comunicazioni. “Il bando ci obbliga insomma a un dilemma: fare un prezzo troppo alto, destinato a essere battuto dai concorrenti e che ci condannerebbe quindi a perdere oppure farne uno basso con cui però rischiamo successive sanzioni Agcom e/o Antitrust”. Il motivo di fondo è che “i termini del bando sono schiacciati sul prezzo. A differenza dei precedenti bandi Spc, non ci sono adeguati parametri di qualità a determinare l’offerta vincente”.
Ragosa interverrà appunto su quest’aspetto, inserendo altri criteri di valutazione, qualitativi. Ma non è finita, perché altri ricorrenti lamentano invece- a quanto risulta- che il bando contiene elementi eterogenei, la fornitura sia di hardware sia di servizi cloud. E questo rischierebbe di penalizzare i partecipanti che non sono operatori tlc. A quanto pare, questa eterogeneità è una scelta dettata dalle circostanze: dall’idea di anticipare il lancio di servizi cloud per la Pa, cosa che comunque dovrebbe avvenire con una gara dedicata G-Cloud da 1 miliardo di euro, secondo quanto annunciato da Ragosa.
La questione di fondo è che l’Spc, il cloud (con l’anagrafe), i datacenter sono tasselli che si incastrano in uno stesso piano dell’Agenzia. Si sorreggono a vicenda e la sfida ora è di farli partire tutti a breve distanza per avviare il nuovo assetto della Pa voluto dall’Agenda Digitale.
Ragosa l’ha spiegato in una precedente intervista al nostro giornale. “La Pa ha 4-5 mila punti Ced. Sprechi economici a parte, c’è un problema di sicurezza e affidabilità. Se facessimo una normativa secondo cui tutti i servizi PA devono essere ospitati su siti con affidabilità Tier 4, come raccomandato dall’Europa, dovremmo chiudere quasi tutti i servizi pubblici che stiamo erogando”, ha detto. “Servono tre cose. Dobbiamo avere un nuovo sistema di connettività, cioè una rete degna di questo nome: è l’Spc di cui abbiamo fatto il bando a fine maggio, Servono sistemi di datacenter Tier 4. E poi sistemi informatici e dati centralizzati su questa infrastruttura”.
“Il primo aspetto è a buon punto, contiamo di assegnare la gara entro dicembre. E’ nuovo disegno di Spc, per la prima volta avremo fonia e dati integrati su stessa infrastruttura, con larghezza di banda idonea per gestire in remoto alcuni servizi”. Il secondo punto è “garantire un sistema di datacenter altrettanto razionalizzato e adeguato. Al massimo potremo avere 40 datacenter, altrimenti non avremo una Enterprise public infrastructure degna di questo nome, come la chiamano in altri paesi”.
Prima scadenza: “dobbiamo presentare entro settembre piano di razionalizzazione come previsto dal decreto sviluppo. Ma per fare questo dobbiamo risolvere alcuni problemi normativi”, continua Ragosa. “Purtroppo l’infrastruttura tecnologica ancora non è considerata asset strategico in Italia”.
Accelerare la roadmap è obiettivo prioritario per l’Agenda, ma comporta il rischio di fare errori in questa fase di progettazione di bandi. E quindi di provocare ricorsi al Tar che possono invece ritardare il piano.