Spenti i riflettori sulla presentazione in gran pompa di ieri, la Strategia Ue per il Mercato unico digitale ha già cominciato a imbarcare dubbi e malumori. A partire dall’atteso piano di riforma del copyright, da alcuni fronti giudicato troppo poco ambizioso rispetto alle premesse e alle promesse dei mesi scorsi. In altri circoli si paventa invece il rischio di un’incontrollata deriva regolamentare che potrebbe intralciare anziché sostenere l’economia digitale del continente. Ma ancor più diffusi appaiono gli interrogativi circa l’agibilità e le tempistiche di realizzazione di un buon numero di provvedimenti tratteggiati dal pacchetto, soprattutto nel campo delle telecomunicazioni. Un’ombra quest’ultima che ha fatto capolino a più frangenti nel corso della conferenza stampa officiata dai due commissari Andrus Ansip e Günther Oettinger.
Ed è proprio quella che Ansip ha voluto issare a misura simbolo della Strategia, l’abolizione del geo-blocking, ad aver raccolto le prime critiche. Attivisti e associazioni dei consumatori rimproverano alla Commissione europea un mini dietrofront sulla materia. L’ultima e ufficiale stesura della Strategia ha accantonato la prospettiva di un’eliminazione completa delle barriere che limitano l’accesso ai contenuti digitali a seconda del paese di residenza, ma la circoscrive ai casi in cui è “ingiustificata”. Di fatto tenendola in vita.
Questo significa che il geo-blocking rimarrà “un elemento di fastidio nel quotidiano dei cittadini europei”, tira le somme Julia Reda, l’eurodeputata del Partito Pirata che nei mesi scorsi ha diretto i lavori preliminari di Strasburgo sulla revisione del copyright. La sua opinione, che in molti condividono, è che sullo sbandierato proposito di creare un quadro armonizzato in materia di diritto d’autore, uno dei pilastri centrali del programma di mandato di Jean-Claude Juncker, la Commissione europea abbia già cominciato a tirare il freno a mano. E comunque, per dirla con le parole degli attivisti digitali di EDRi, la Strategia “non offre indicazioni su come la riforma sarà realizzata nella pratica”.
Industria digitale e attivisti guardano inoltre entrambi con sospetto all’ipotesi fatta propria dal pacchetto d’introdurre il cosiddetto “duty of care” per gli intermediari online: in soldoni, si tratterebbe dell’obbligo per telco e piattaforme digitali di monitorare, filtrare o rimuovere i contenuti illegali o che violano il diritto d’autore. “Una misura di questo tipo potrebbe destabilizzare il delicato equilibrio tra libertà di parola, economia aperta e preoccupazioni pubbliche sulla sicurezza. Occorre procedere con massima cautela”, dice James Waterworth di CCIA, associazione che rappresenta gli interessi degli Ott Usa.
L’altro capitolo del pacchetto che fa figura, e non da ieri, di “sorvegliato speciale” è quello relativo alla regolamentazione delle piattaforme digitali. La Commissione europea ha deciso di evitare temerari scatti in avanti, accontentandosi per ora di avviare un’indagine preliminare che dovrebbe valutare “aspetti quali la mancanza di trasparenza dei risultati di ricerca e delle politiche in materia di prezzi, le modalità di utilizzo delle informazioni ottenute, le relazioni tra piattaforme e fornitori e la promozione dei propri servizi a scapito dei concorrenti, nella misura in cui tali aspetti non siano già trattati nell’ambito del diritto della concorrenza”. E’ ancora prematuro per dire se dagli esiti dell’inchiesta potrà scaturire una proposta legislativa vera e propria.
Ma comunque vada dietro queste prime manovre cova un braccio di ferro istituzionale che potrebbe presto sfociare in aperto scontro. Francia e Germania, da un lato, continuano a fare pressing sulla Commissione europea affinché assuma una linea più intransigente nei confronti di Google, Apple e colleghi. La scorsa settimana, i ministri dell’economia dei due paesi, Emmanuel Macron e Sigmar Gabriel, hanno scritto per la seconda volta in pochi mesi ad Ansip invocando “un quadro regolatorio generale per le piattaforme essenziali”. Dall’altro lato della barricata, un fronte compatto che vede fianco a fianco paesi scandinavi e baltici, nonché Olanda e Regno Unito, ritiene che la Commissione abbia già fatto troppe concessioni all’asse franco-tedesco. E temono che una stretta regolamentare sulle piattaforme possa penalizzare in primis il più piccolo e legalmente meno attrezzato settore digitale europeo.
In questione, si diceva, è anche lo stesso scadenzario suggerito dal pacchetto (buona parte delle riforme verrebbero presentate di qui al 2016), ora giudicato confuso, ora troppo affollato da apparire realistico. In molti paventano un ingorgo legislativo che potrebbe da ultimo tradursi in un pesante ritardo sulla tabella di marcia. Di qui, ad esempio, l’appello degli operatori telecom di Etno ad “azioni rapide ed urgenti” per attuare la nuova Strategia. Ed è in effetti proprio sul fronte delle telecomunicazioni che si addensano le perplessità più forti sulle reali chance della Commissione europea di tenere fede alle linee programmatiche del pacchetto. Da un lato, per diversi analisti la realizzazione di una “più solida cooperazione in material di spettro”, per dirla con le parole di Ansip, appare tutt’altro che a portata di mano in ragione della ferma opposizione degli stati membri.
Dall’altro pesa la débâcle sofferta dal pacchetto Kroes sul Telecoms Single Market, il cui iter di adozione si è di nuovo inceppato per via delle distanze che separano Parlamento europeo e Consiglio Ue. “Il fallimento o il ritardo [dei negoziati] sul Telecoms Single Market – dice l’avvocato esperto di tlc Innocenza Genna – non bloccheranno certo l’implementazione del Digital Single Market, ma causeranno ritardi e difficoltà nella messa in campo delle iniziative in ambito telecom previste dalla Strategia”.