L'ACCORDO

Call center, arriva il “testo unico” per le collaborazioni outbound

Firmato l’accordo tra Asstel e sindacati: in un documento accorpate tutte le intese fra le parti sociali a partire dal 2013 riguardanti il trattamento economico e il piano sanitario integrativo. Di Raimondo: “Vogliamo stabilire un quadro di regole a sostegno della buona imprenditoria”

Pubblicato il 02 Ago 2017

Federica Meta

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Prosegue il percorso intrapreso da Assotelecomunicazioni-Asstel e sindacati di categoria che mira a consolidare un quadro di regole a garanzia dei collaboratori outbound dei call center in una cornice di sostenibilità per le imprese. E’ in questo contesto che va inquadrato l’accordo firmato il 31 luglio tra Asstel e Slc-Cgil, Fistel-Cisl e Uilcom-Uil, che riunisce in un testo unico, aggiornandole, tutte le intese siglate fra le parti sociali a partire dal 2013 riguardanti la disciplina delle collaborazioni nelle attività di vendita di beni e servizi e di recupero crediti svolte attraverso call center “outbound”, comprendendo inoltre le successive modifiche e integrazioni concordate anche a seguito dell’evoluzione del quadro legislativo verificatasi nel frattempo.

Gli aspetti qualificanti dell’accordo riguardano, in particolare, il modello di erogazione del corrispettivo economico, uguale per tutti i lavoratori e valevole su tutto il territorio nazionale; il meccanismo della graduatoria di prelazione; le prestazioni sanitarie per i collaboratori attraverso un Piano sanitario integrativo del Ssn avviato con successo nel febbraio scorso, che si è potuto concretizzare grazie a una speciale convenzione stipulata dalle parti firmatarie con FareMutua, società di mutuo soccorso, e UniSalute, compagnia specializzata in assistenza sanitaria.

“Il testo unico sottoscritto dalle parti sociali – afferma Laura Di Raimondo direttore di Asstel – è il frutto di una visione integrata degli elementi che contribuiscono a definire l’operatività del comparto dei call center. Visione su cui deve innestarsi un nuovo percorso di politica industriale, che sia in grado di arricchire il valore aggiunto delle attività svolte favorendo virtuose dinamiche di sviluppo”.

“Asstel e le organizzazioni sindacali – conclude Di Raimondo – stanno così dimostrando la capacità di stabilire un quadro di regole a sostegno della buona imprenditoria per il settore dei call center”.

Il documento ricalca nei contenuti gli accordi precedenti e contiene alcune modifiche che riguardano i corrispettivi. “Modifiche – spiega Fabio G. Gozzo, segretario nazionale della Uilcom necessarie sia per la mutata situazione di contesto a livello contrattuale sia dalla necessità di eleminare ambiguità interpretative che si sono finora rivolte a scapito dei lavoratori”.

“Per quanto riguarda i corrispettivi – spiega il sindacalista a CorCom – dal 1° giugno l’accordo Assocall-Ugl Terziario ha cessato la sua validità in seguito al ritiro della firma da parte dell’Ugl. Un esito importante, frutto di una lunga battaglia contro i contratti in dumping portata avanti con convinzione da Slc, Fistel e Uilcom, insieme ad Asstel e Assocontact. A fronte di questa cessazione i sindacati hanno acconsentito ad una rimodulazione dei tempi necessari all’avanzamento percentuale dei corrispettivi, prevedendo che il 90% (della retribuzione tabellare del contratto nazionale delle Tlc associata al 2° livello) scatti dal 1 aprile 2019 e il 100% dal 1 aprile 2020”.

La firma rappresenta un ulteriore passo verso la protezione di un settore che in questi anni sta affrontando la poù grande crisi della sua storia, stretto tra il boom tecnologico (chatbot) e delocalizzazioni. Su questo ultimo fronte lo scorso 4 maggio è intervenuto direttamente il governo che ha spinto per la firma di un protocollo di intesa con i grandi committenti . Il documento definisce le buone pratiche sociali e commerciali per gestire i call center, in via diretta o indiretta. Tredici i committenti firmatari: Eni, Enel, Sky, Tim, Intesa San Paolo, Fastweb, Poste, Trenitalia, Ntv, Unicredit, Wind3, Mediaset e Vodafone che rappresentano il 65% dei committenti italiani).

Quattro i punti toccati dal Protocollo: qualità del servizio, delocalizzazione, costo del lavoro, clausole sociali. Vediamoli nel dettaglio. Sulla qualità del servizio si sottolinea l’esigenza di chiarezza, semplicità di fruizione e correttezza delle informazioni fornite; certificazione linguistica B2 per gli operatori fuori dal territorio nazionale; individuazione di procedure che assicurino tempi di risposta definiti; applicabilità della normativa nazionale sulla privacy anche per i servizi erogati all’estero; rispetto delle fasce orarie individuate dalla normativa o dalle autoregolamentazioni vigenti. Su uno dei nodi più spinosi per il settore, le delocalizzazioni (sul punto il Governo è intervenuto, tra l’altro, stabilendo lo stop a incentivi alle imprese che si trasferiscono all’estero) si punta a garantire, come detto, che il 95% delle attività effettuate in via diretta sia effettuato in Italia entro 6 mesi dalla stipula e, per i nuovi contratti, almeno l’80% dei volumi in outsourcing sia effettuato sul territorio italiano (fermo restando il vincolo a non ridurre la quota attuale qualora superiore a tale valore).

E ancora, il protocollo interviene in materia di costo del lavoro chiedendo la sterilizzazione della componente dalle offerte dei fornitori, ovvero l’esclusione delle offerte dei fornitori, se il costo lavoro orario è inferiore alle tabelle del ministero del Lavoro o a quello fissato da accordo sindacale. Infine, il documento stabilisce l’impegno a prevedere strumenti di tutela analoghi a quelli previsti dalla norma in relazione alla clausola sociale o, alternativamente, valorizzare l’impegno dei fornitori di garantire l’applicazione di strumenti di tutela dei lavoratori analoghi a quelli previsti dalla norma. Il protocollo ha durata 18 mesi con rinnovo tacito e verifica dei risultati decorsi 12 mesi.

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