“Il dibattito sulla tassazione dei robot potrebbe apparire, in Italia e nel mondo, come una novità assoluta. Ma a guardare bene, anche a costo di semplificare un po’ dovremmo riconoscere che si ispira a un principio a cui nel tempo ci siamo abituati e di cui riconosciamo l’utilità. Ad esempio nel campo dell’ambiente, dove ormai consideriamo normale che un’azienda che ha abbattuto 10 alberi per proprie esigenze produttive debba assumere l’impegno di ripiantarne altrettanti per non danneggiare la qualità della vita della comunità. Ecco, in linea generale è comprensibile che per l’utilizzo dei robot possa valere lo stesso principio ‘compensativo’ rispetto ai posti di lavoro per umani che le nuove tecnologie potrebbero far scomparire”. A parlare è Stefano Micelli, docente di international management all’università Ca’ Foscari di Venezia, che negli anni ha approfondito il tema delle trasformazioni del sistema industriale italiano.
Micelli, nei giorni scorsi durante la conferenza sulla sicurezza di Monaco il fondatore di Microsoft, Bill Gates, ha proposto che i robot paghino le tasse. E’ una strada percorribile?
E’ chiaro che le imprese, in prospettiva, siano chiamate a farsi carico di un riconoscimento alla comunità per ogni forma di razionalizzazione dei processi produttivi. Anche se a dirla tutta mi sembra ancora complicato arrivare a tassare i robot, di cui non c’è nemmeno una definizione, se parliamo della loro futura applicazione ai sistemi produttivi. Piuttosto sarebbe interessante immaginare un sistema nel quale più verranno utilizzate le macchine, meno dovrà essere tassato il lavoro degli umani. Abbiamo visto recentemente quanto è stato importante il ruolo della decontribuzione per le nuove assunzioni, e credo che questa sia una strada su cui proseguire.
In prospettiva lo scenario è quello della totale sostituzione degli uomini con le macchine, in stile “dark factories”?
Credo di no, e credo che l’Italia abbia una grande opportunità in questo campo: quello di non sostituire completamente gli esseri umani con le macchine nelle linee produttive, ma di dare vita a progetti collaborativi tra uomo e macchina che possano valorizzare le competenze. Abbiamo tante piccole e medie imprese dove l’introduzione selettiva di tecnologie di nuova generazione potrebbe essere un modo per rilanciarne la competitività. Se il modello dark factory è inquietante, ed è il prologo del reddito di cittadinanza garantito, la seconda visione potrebbe essere un modo diverso di intendere il rapporto uomo macchina in modo virtuoso.
Non c’è però una carenza di competenze digitali per arrivare alla realizzazione di questo scenario?
Un ruolo fondamentale spetterà senza dubbio alla scuola, agli Its, gli istituti tecnici superiori, che dovrebbero farsi carico di portare queste nuove competenze nell’uso della tecnologia dentro al nostro tessuto manifatturiero. Il mio riflesso condizionato è quello di assegnare un ruolo importante alla formazione, in particolare in Paesi come l’Italia che fanno enorme fatica a farsi carico del digitale. Il punto è di riuscire a valorizzare le nostre tradizioni, le nostre capacità, per far fare un salto competitivo all’intero Paese. I robot e il loro utilizzo ponderato potranno essere una grande opportunità.
Il tema dell’ingresso dei robot nei sistemi produttivi è ormai entrato in diverse agende politiche, se ne parla nella campagna per le presidenziali francesi e al Parlamento Ue con la proposta della deputata socialista Mady Delvaux. La politica italiana è pronta?
In Italia, in realtà, la politica conosce poco i processi manifatturieri e l’evoluzione delle realtà d’impresa. L’idea che a qualcuno venga l’idea di tassare i robot mi sembra davvero strana. Solo oggi la politica inizia a mettere a fuoco cose di cui si è disinteressata a lungo, e inizia a capirne la rilevanza. Qui è in gioco la competitività di un Paese, e per prendere decisioni è necessario portare a termine un approfondimento di cui siamo solo agli inizi. Tassare i robot può essere disastroso se non si conosce quale deve essere il punto d’arrivo, e allo stesso modo può essere disastroso non fare niente: nulla è più pericoloso di un generico atto astratto. Si deve conoscere bene la situazione, scegliere un obiettivo e solo a quel punto prendere le decisioni utili a raggiungerlo