L'EDITORIALE

Digitale, gelata d’inverno sull’Italia

La relazione semestrale della Commissione europea evidenzia le difficoltà che incombono sul piano Industria 4.0 e sulla strategia ultrabroadband. Ma guardare il bicchiere mezzo pieno si può

Pubblicato il 22 Feb 2017

Mila Fiordalisi

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Livelli di innovazione al di sotto della media europea, investimenti privati insoddisfacenti, barriere significative alla competizione, mancanza di adeguate professionalità, pubblica amministrazione inefficiente: questo lo scenario che, per l’ennesima volta, emerge dalla fotografia semestrale scattata dalla Commissione europea e nel caso specifico dalle spiegazioni sul Pacchetto d’inverno in cui sono contenute le relazioni sulla panoramica delle sfide economiche e sociali Paese per Paese.

L’Italia continua a piazzarsi male e se è vero che il Piano Industria 4.0 – come evidenziato nella Relazione sull’Italia – rappresenta una misura che punta a rilanciare l’innovazione, di contro a rallentare il percorso nazionale verso una rinnovata competitività ci sono le gravi inefficienze nel settore pubblico da un lato, un digital divide che ancora fa sentire il suo peso e un fidanzamento mai coronato in matrimonio fra pubblico e privato e università e impresa.

Insomma siamo nel guado. A giudicare dai toni della relazione europea la situazione non è destinata a migliorare quantomeno nel breve periodo. La riforma della Pubblica amministrazione, asse portante di una strategia votata a cambiare il volto e l’anima del Paese, è rimasta imbrigliata nelle maglie dei ricorsi. E pesa la dura bocciatura del Consiglio di Stato. Che fine faranno le misure non è ancora chiaro e visto il clima di incertezza politica difficilmente si arriverà presto al dunque in maniera chiara e inequivocabile. Anche riguardo alla strategia Industria 4.0 i pericoli non mancano: solo il 67% della popolazione (dato 2016) usa regolarmente Internet, ben al di sotto della media Ue pari al 79%. Un dato da non sottovalutare se si considera – si legge nella Relazione – che la forza lavoro nazionale è costituita da una popolazione non giovane.

In Italia inoltre si sta creando un secondo digital gap, quello che riguarda le connessioni in fibra: gli investimenti, trainati dagli operatori di telecomunicazioni, si stanno concentrando nelle aree più densamente popolate e se da un lato il livello di copertura è passato dal 44% al 72% dall’altro anche in questo caso siamo al di sotto della media Ue (76%). L’Europa non manca di accendere i riflettori sui ricorsi che si sono abbattuti sui bandi Infratel per la realizzazione delle reti ultrabroadband nelle aree bianche: se ad averla vinta saranno i ricorrenti – commenta l’Europa – difficilmente l’Italia sarà in grado di chiudere il digital gap nelle aree a fallimento di mercato e di fornire servizi di connettività ad alta velocità ad almeno il 25% della popolazione.

Last but not least il nostro Paese continua non solo a non dare il giusto peso agli investimenti in R&D, ma addirittura a ridurli: nel 2015 la quota di R&D era pari ad appena l’1,33% del Pil, in discesa dal 2014 e con un trend dimezzato rispetto alla media Ue, che si è attestata al 2,03%.

Il bicchiere dunque visto dall’Europa è decisamente mezzo vuoto. Ma guardare il mezzo pieno si può e si deve e non solo per mero esercizio di ottimismo: il piano Industria 4.0 c’è, la riforma della PA seppur azzoppata ha fatto qualche passo, la banda ultralarga sta diventando pian piano realtà. Dobbiamo ora sperare che la macchina dell’innovazione abbia terminato la sua fase di rodaggio e che possa quindi intraprendere il suo cammino a marcia piena. E auguriamoci che il prossimo “tagliando” europeo vada (almeno un po’) meglio.

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