“Desta preoccupazione la decisione del Congresso statunitense di abrogare la riforma che avrebbe imposto agli internet service provider di subordinare al consenso la vendita dei dati personali degli utenti. Costituisce infatti una scelta regressiva e in controtendenza rispetto ai sempre più diffusi orientamenti nella comunità internazionale”. Lo afferma in una nota Antonello Soro, presidente dell’Autorità garante per la protezione dei dati personali.
“La perdurante possibilità, per i provider, di cedere i profili degli utenti e dati espressivi non solo di preferenze di acquisto, ma a volte anche di convinzioni religiose o politiche, di preoccupazioni per la salute o di abitudini sessuali – conclude Soto – legittima così la monetizzazione del diritto fondamentale alla protezione dati online. Ciò potrebbe avere serie implicazioni sulla tenuta dell’accordo, appena concluso dopo una faticosa mediazione, sul trasferimento negli Usa dei dati dei cittadini europei, conseguente all’annullamento del Safe Harbour da parte della Corte di giustizia”.
Le norme sulle privacy online approvate dalla Federal Communications commission durante l’amministrazione Obama avrebbero dovuto entrare in vigore dal 4 dicembre 2017, ma a impedirlo un progetto di legge, già passato in Senato la scorsa settimana, cui ieri ha dato luce verde anche il Congresso con 215 voti a favore e 205 contrari. La conseguenza sarà l’abolizione delle norme che avrebbero costretto gli internet service provider a chiedere il consenso degli utenti per poter vendere i loro dati, comprese le app scaricate e la cronologia delle loro ricerche, alle agenzie pubblicitarie. Ora per entrare in vigore il provvedimento dovrà passare alla firma del presidente Donald Trump, che si era già detto favorevole all’abolizione delle regole messe a punto dalla Fcc nell’ottobre 2016.
La decisione della Camera dei rappresentanti ha destato allarme nella Electronic Frontier Foundation (Eff), associazione che tutela i diritti civili online, e ha annunciato di voler dare battaglia, anche nei tribunali, perché le norme sulla privacy possano essere ripristinate. Dello stesso genere la reazione di Jeffrey Chester, direttore del Center for Digital Democracy (Cdd), secondo cui “gli americani non saranno mai al riparo dal fatto che i loro dati personali siano esaminati segretamente e venduti al miglior offerente”.