La crisi di Toshiba e delle sue controllate statunitensi attive nel nucleare non avrà ripercussioni sugli stabilimenti Mangiarotti in Friuli. Il debito accumulato da Westinghouse Usa, società detenuta dal colosso nipponico alle prese con un rosso da oltre 6 miliardi di dollari, aveva mandato in allarme i lavoratori dei due siti di proprietà dell’azienda friulana, situati a Monfalcone (Gorizia) e Panellia di Sedegliano (Udine). La Mangiarotti è infatti controllata al 30% da Westinghouse Europa (la divisione europea del colosso nucleare) e al 70% da Toshiba.
“È chiaro che il fatto che Mangiarotti sia in maggioranza di proprietà di Toshiba, ci fa stare con le antenne alzate: per questo monitoreremo con grande attenzione l’evolversi della vicenda di Westinghouse – spiega il segretario della Fim Cisl, Gianpiero Turus, dopo un incontro con la direzione dell’azienda -. Dall’alto lato, però, siamo tranquillizzati anche dalle nuove commesse che si stanno aprendo per Mangiarotti, a partire da quella in questi giorni in trattativa con il governo indiano per la fornitura di pezzi. Una trattativa che se andasse in porto garantirebbe ancora più sicurezza ai nostri stabilimenti”.
Proseguiranno, infatti, come da programma, i lavori di costruzione delle componenti di centrali nucleari già calendarizzati fino al 2018 per quanto riguarda Panellia e addirittura fino al 2020 per il sito di Monfalcone. Siti che, assieme, vantano ad oggi un portafoglio ordini pari a 280milioni. Allo stesso tempo, prosegue il segretario della Fim Cisl, “ci è stato confermato anche il piano assunzioni per una cinquantina di nuovi operai. Se uniamo gli investimenti sul territorio e l’intenzione di Toshiba di sanare i debiti tornando ad occuparsi soltanto della produzione di singole componenti e della ingegnerizzazione, crediamo che ci siano sufficienti margini di tranquillità per Mangiarotti”.
Bisognerà vedere se la compagnia riuscirà effettivamente a risollevare le proprie sorti. Uno dei passaggi chiave è costituito dalla vendita della divisione chip per le memorie flash, necessaria a far cassa e a coprire il rosso di bilancio causato dal business nucleare. La partita è appena giunta alla chiusura del primo round, con la cessione di tutto il capitale che appare l’ipotesi più probabile. Le due offerte maggiori sono infatti arrivate per rilevare l’intero business: quella da 27 miliardi di dollari di Foxconn e quella da 23 miliardi di Broadcom. Offerte che non fanno impazzire il governo di Shinzo Abe, che preferirebbe mantenere la bandiera nazionale.
Intanto la compagnia giapponese è pure finita nel mirino delle autorità di Borsa di Tokyo e il rischio è che Toshiba sia obbligata al delisting, cioè all’uscita dalla Borsa. L’indagine delle autorità dureranno diversi mesi e si baserà su elementi che riguardano la correttezza delle operazioni contabili, ma anche la trasparenza della corporate governance interpretata fin qui dagli investitori.