La tecnologia chiave per prevenire le minacce aziendali interne. A dirlo la Fraud Survey di EY dalla quale emerge che la maggioranza degli intervistati (75%) ritiene l’utilizzo della tecnologia come lo strumento maggiormente efficace per prevenire o contrastare comportamenti non etici. Parimenti è altrettanto palese che gli stessi intervistati (l’89%) ritiene che il controllo di dati, come, ad esempio, profili di messaggistica istantanea, costituirebbe una violazione della privacy. Quando è stato loro domandato se fossero a favore di una raccolta ed analisi costante delle informazioni estratte da loro caselle di posta, telefoni, sistemi di sicurezza o registri pubblici, gli intervistati dell’Europa dell’Ovest (42%) e dell’Est (49%) sono risultati meno favorevoli rispetto a quelli di India (87%) ed Africa (80%).
La Fraud Survey di EY è stata realizzata mediante interviste a 4.100 dipendenti (da impiegati fino a top manager) di 41 paesi tra cui Europa, India, Africa e Medio Oriente (“Emeia”).
Complessivamente Ey rileva che le aziende che operano in mercati globali incontrano sempre più difficoltà nel raggiungere i propri obiettivi, a causa di una crescita rallentata nei Paesi emergenti e di un contesto socioeconomico globale incerto. Il 69% degli intervistati italiani evidenzia che la crescita effettiva è più lenta di quella prevista; dato che si conferma nei paesi emergenti con il 63% degli intervistati e con punte più elevate del 90% in Oman, 85% in Ucraina and 84% in Nigeria. In tale contesto non stupisce, quindi, che il 71% degli intervistati italiani ritiene la corruzione un fenomeno ancora molto diffuso nel proprio Paese; % che scende al 51% a livello Emeia.
Dallo studio condotto emerge che ancora i dirigenti di aziende non riescono a promuovere e diffondere una cultura etica nelle proprie imprese; il 77% degli amministratori o dei dirigenti ancora dichiara che per aiutare a salvaguardare un business, con uno su tre disposti a offrire tangenti per vincere gare o mantenere il proprio business.
L’indagine mostra, inoltre, che la “Generazione Y” (che comprende soggetti tra i 25 e i 34 anni di età), costituente il 32% degli intervistati, dimostra un atteggiamento più disinteressato nei confronti di un possibile comportamento non etico. Il 73% giustifica tale comportamento in quanto finalizzato a salvaguardare il business, rispetto al 49% degli intervistati di età tra i 45 e i 54 anni (Generazione X). Inoltre, il 68% degli intervistati, appartenenti alla Generazione Y, crede che i propri dirigenti potrebbero adottare comportamenti non etici al fine di salvaguardare il business, e il 25% di questa fascia di età sarebbe disposto a offrire tangenti in cambio di ottenere o consolidare affari. La Generazione Y mostra anche una sfiducia crescente nell’etica dei propri colleghi: il 49% di essi crede che i propri colleghi siano disposti ad agire in modo non etico per migliorare la propria crescita lavorativa e la propria carriera (di questa idea è il 40% di soggetti, che ricoprono tutte le fasce di età).
“L’Italia è al 60/mo posto al mondo nella classifica del Rapporto sulla corruzione, pubblicato da Transparency International. Con un punteggio di 47 su 100, dove 0 corrisponde a “molto corrotto” e 100 “per nulla corrotto”, l’Italia segna un miglioramento nel 2016 rispetto al 2015 (44 punti; 61/mo posto) con riferimento alla corruzione probabilmente il miglioramento è stato dettato anche da uno sguardo più ottimista sul nostro Paese da parte di Istituzioni e investitori, ma è inutile precisare che l’obiettivo è ancora lontano – spiega Fabrizio Santaloia – National Leader EY per il Fraud Investigation & Dispute Services (FIDS): – Dal 2012, anno in cui è entrata in vigore la legge anticorruzione, ad oggi, l’Italia ha fatto grandi passi in avanti nella lotta contro tale fenomeno, dimostrato anche dal fatto che ha riconquistato ben 12 posizioni nel ranking mondiale (avanzando dal 72/mo posto al 60/mo). Dallo studio condotto nell’area EMEIA (Europa, Medio Oriente, India e Africa) in Italia ben il 71% degli intervistati italiani sostiene che le pratiche corruttive avvengono nel proprio settore di attività.”
In Italia il 14% degli intervistati ritiene che potrebbe giustificare un comportamento non corretto. Rassicurante, invece, è che solo il 2% degli intervistati nel nostro Paese sarebbe disposto a fornire informazioni non veritiere ai propri capi al fine di avanzamenti di carriera e/o di una migliore retribuzione.
Nonostante il fatto che i sistemi anonimi di denuncia, c.d. whistleblowing, sono ormai considerati una parte importante della compliance aziendale, solo il 21% degli intervistati è a conoscenza che tale canale sia disponibile nella propria Società, mentre il 73% preferirebbe fornire informazioni direttamente ad un ente esterno, come un’istituzione governativa o un ente regolatore. Inoltre, il 52% degli intervistati riferisce di essere preoccupato per il verificarsi di episodi di cattiva condotta all’interno delle proprie realtà aziendali. Di questi intervistati, il 48% avverte la pressione di non denunciare informazioni di cui sia venuto a conoscenza, il 56% è propenso a non riferire alcuna informazione in tal senso.
Gli intervistati afferenti ai mercati emergenti, come l’India (27%) e la Nigeria (24%), concordano sul fatto che agli stessi è stata offerta una maggiore protezione, rispetto a tre anni fa, in tema di denunce. Un limitato miglioramento è stato notato in mercati sviluppati come l’Italia (11%) e Francia (4%).
“In molte aziende, i dipendenti sembrano inconsapevoli di quali canali utilizzare per poter dare voce alle loro testimonianze, o, ancora più preoccupante, questi ultimi avvertono pressioni nel dover mantenere il riserbo sulle informazioni, che dimostra una mancanza da parte della leadership ad affrontare l’etica nel mondo del business – aggiunge Santaloia – Le aziende dovrebbero adottare efficaci strumenti e resistenti policy, che consentano ai propri dipendenti di denunciare condotte non etiche al management, senza rischi o conseguenze, diffondendo, altresì, in azienda una cultura premiante del rispetto dei principi etici. Ciò anche allo scopo di evitare che tali mancate segnalazioni si possano trasformare, in un futuro, in maggiori costi relativi a sanzioni, procedimenti giudiziari e simili.”
“Il tema posto dagli intervistati è sicuramente concreto, ma rimane complesso intercettare un comportamento anomalo senza raccogliere e analizzare dati provenienti da molteplici fonti sia interne che esterne all’azienda – conclude – Nel rispetto della normativa vigente, oggi le tecnologie forniscono un grande aiuto, in quanto ci consentono di implementare i c.d. “Cruscotti di controllo automatici”, in grado di aiutare l’azienda ad aumentare l’efficacia dell’azione di contrasto verso comportamenti non etici, ottimizzando, allo stesso tempo, i costi collegati di compliance e audit.”