L’uso di software illegale cosa comporta per una piccola e media impresa? L’adozione di piattaforme non dotate di licenza espone a rischi oppure no? E nel caso di attacco hacker a quanto ammontano le perdite ed i successivi costi di ripristino? Questi gli interrogativi a cui punta a dare risposte semplici e soprattutto efficaci in termini “operativi” il “Vademecum sul valore del software nella Pmi”, messo a punto da Bsa-The Software Alliance in collaborazione con la Direzione Generale Biblioteche e Istituti Culturali del Mibact (Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo) e presentato a Roma in occasione della Giornata mondiale della Proprietà Intellettuale.
“Si tratta di uno strumento per aiutare le aziende a gestire il software in chiave competitiva”, sottolinea il presidente di Bsa Italia Paolo Valcher nell’annunciare che la mini-guida sarà inviata ad un primo campione di 6.000 pmi operanti sul territorio nazionale. “Il software è un patrimonio con un valore e come tale deve essere gestito e reso produttivo. E il software illegale non è affatto più economico. Anzi. Il miraggio del risparmio fa apparire tutto più conveniente ma espone invece a una serie di pericoli cui nessun imprenditore lungimirante vorrebbe mai incorrere e che possono rivelarsi molto più costosi di quanto si creda”. L’uso di software illegale oltre a esporre a rischi le aziende si pone come una questione-Paese di non poco conto. Se è vero che la situazione sta lentamente migliorando rispetto a qualche anno fa secondo i dati del Global Software Study di Idc il tasso d’illegalità nel nostro Paese è ancora del 45%,
“Il fenomeno non è da sottovalutare poiché tocca in modo forte gli interessi delle aziende produttrici ma anche e soprattutto del Paese, considerato che ingenera un danno a livello di economia nazionale”, evidenzia Mario Catania, presidente della Commissione parlamentare di inchiesta sui fenomeni della contraffazione, della pirateria in campo commerciale e del commercio abusivo. “Serve un focus massiccio sul tema della contraffazione – continua -: il fenomeno va contrastato con un livello di razione superiore a quello attuale e la politica deve porre molta più attenzione alla questione”.
Nonostante le numerose iniziative in campo – in particolare quelle sostenute dalle aziende interessate a combattere il fenomeno – bisogna dunque spingere l’acceleratore e dare vita ad una rete di collaborazione transnazionale che eviti le impasse burocratiche o si scontri con normative non affini a quelle del nostro Paese. “Si pensi alle difficoltà che si incontrano quando un reato viene commesso in Italia ma attraverso un server localizzato fuori dai confini – spiega il Generale della Guardia di Finanza Gennaro Vecchione -. È solo un esempio di quanto possa diventare difficoltoso portare a termine l’iter. Da parte nostra stiamo lavorando con l’Icann affinché oltre alla cancellazione dei nomi a dominio attraverso il Cnr sia possibile fare azioni che coinvolgano i register degli altri Paesi”. Le azioni “dall’alto” devono però essere accompagnate con la conoscenza dei rischi da parte del grande pubblico, quanto meno quello delle aziende. “E’ necessario avviare una grossa campagna informativa per spingere la lotta alla pirateria e alla contraffazione – puntualizza l’avvocato Paolo Marzano, presidente del Comitato consultivo permanente per il diritto d’autore -. Il che consentirebbe anche di aumentare il gettito fiscale. Il vero danno che si fa alle aziende e al Paese sta proprio nella mancanza di consapevolezza sui rischi”.