Regole chiare e comuni a tutti in Europa per Airbnb, Uber, e tutte le altre protagoniste della sharing economy. Lo chiede il Parlamento europeo con una risoluzione non vincolante approvata dalla commissione Mercato interno: gli eurodeputati sottolineano la necessità di “affrontare le aree grigie nella regolamentazione che causano differenze significative tra gli Stati”.
Le raccomandazioni includono: individuare criteri efficaci per distinguere i privati cittadini che offrono servizi su base occasionale dai professionisti; fornire una corretta informazione ai consumatori nonché sistemi per risolvere le dispute; assicurare ai lavoratori condizioni eque e protezione adeguata; applicare regole fiscali simili a servizi comparabili.
“Con questa relazione ci poniamo apertamente a favore dell’innovazione” e “ribadiamo la necessità di un quadro giuridico europeo che chiarisca gli obblighi (anche fiscali) delle piattaforme online e garantisca una concorrenza leale coi settori tradizionali della nostra economia”, ha detto il relatore Nicola Danti (Pd). “La nostra priorità – conclude – resta la tutela dei consumatori europei e la difesa dei diritti dei lavoratori: tanto di quelli dei settori tradizionali quanto dei “nuovi” lavoratori delle piattaforme collaborative”.
Secondo uno studio di PwC in Europa dal 2015 si è assistito ad una forte diffusione delle imprese che operano nella sharing economy, andando ad incrementare un mercato che, ad oggi, conta oltre 275 società e vale 28 miliardi di euro, cifra destinata a salire e sfiorare 500 miliardi di euro entro il 2025.
E l’Italia in che posizione si colloca rispetto a questo mercato nascente? Una ricerca commissionata da Phd Italia e condotta dall’Università degli Studi di Pavia ha affermato che nel 2015 il mercato della sharing economy ha generato nello “stivale” un giro d’affari pari a 3,5 miliardi di euro, coinvolgendo 97 piattaforme collaborative e 41 attive per il crowdfunding, cifra che potrebbe arrivare, tra 10 anni, ad una crescita di 25 miliardi.