Fattura elettronica nel 50% delle grandi imprese. Ma le Pmi segnano il passo

Polimi: una grande azienda su due digitalizza tutto il ciclo ordine-pagamento, mentre per le imprese di medie e piccole dimensioni ci si ferma al 15%. “Con un’adozione più diffusa vantaggi per il sistema Paese fino a 8 miliardi di euro l’anno”

Pubblicato il 19 Mag 2011

La fatturazione elettronica è adottata da una grande impresa su
due, mentre tra le Pmi la utilizza il 15%. Sono i numeri che
emergono dalla Ricerca dell’Osservatorio Fatturazione Elettronica
e Dematerializzazione promosso dalla School of Management del
Politecnico di Milano.

Entrando più nel dettaglio sui numeri, la diffusione della
fatturazione elettronica in Italia è ancora limitata ma in forte
crescita – quasi 1 impresa su 2 tra le grandi (con più di 250
dipendenti) e circa 1 su 7 tra le medio-piccole (tra 10 e 250
dipendenti) ne fa uso – ed è in significativa crescita (+56% per
la Conservazione Sostitutiva e +10% nel numero di imprese che fanno
Integrazione del Ciclo Ordine-Pagamento in modo “evoluto”. Un
fenomeno questo che si accompagna a una crescita del 12% nel numero
di documenti scambiati nelle relazioni Edi. Complessivamente sono
circa 60.000 le imprese che hanno una qualche esperienza di
dematerializzazione e/o gestione digitalizzata del ciclo
ordine-pagamento.

Nel dettaglio, sono circa 4.000 (+56% rispetto al 2009) le imprese
con più di 10 dipendenti che hanno progetti di Conservazione
Sostitutiva (prevalentemente di fatture attive, libri e registri):
quasi il 36% delle grandi imprese italiane e meno dell’1% tra le
Pmi. Oltre a queste 4.000 imprese, circa 2.000 studi professionali
– con meno di 10 dipendenti – portano in conservazione
sostitutiva prevalentemente libri e registri contabili. Sono invece
circa 7.500 le imprese connesse a una qualche rete Edi: il 33%
delle grandi imprese italiane e circa il 2% delle Pmi. Tra queste
imprese cresce il numero di documenti scambiati (+12% rispetto al
2009) e il numero delle relazioni “evolute”, che cioè
prevedono lo scambio di un insieme più ampio di documenti (+10%).
Sono, inoltre, tra 45.000 e 50.000 le imprese che si relazionano
attraverso una qualche tipologia di Extranet: circa il 12% delle
grandi imprese italiane, il 15% delle Pmi e meno dello 0,2% delle
microimprese. Solo poche decine di imprese, infine, fanno
fatturazione elettronica “pura a norma di legge”: la grande
maggioranza di questi casi, inoltre, è costituita da progetti
“infragruppo”.

Questa limitata penetrazione si spiega nel fatto che la
fatturazione elettronica “pura” richiede sia di stipulare un
accordo tra le parti sia di portare le fatture in conservazione
entro un limite temporale sfidante per molte imprese (15 giorni):
entrambe queste necessità sono, naturalmente, più semplici da
gestire tra società che appartengono a uno stesso gruppo. La
limitata diffusione della fatturazione elettronica “pura a norma
di legge” è compensata dall’adozione di altri modelli meno
impegnativi ma altrettanto efficaci: ne è un esempio il caso di
un’azienda emittente che fa conservazione sostitutiva
dell’attivo e invia una fattura telematica, che la controparte
può essere in grado di trattare come ritiene più opportuno
(portandola in conservazione sostitutiva, oppure stampandola e
archiviandola in modo tradizionale).

“Le fatture B2b circolanti in Italia sono circa 1,3 miliardi
all’anno – puntualizza Alessandro Perego, responsabile
Scientifico dell’Osservatorio Fatturazione Elettronica e
Dematerializzazione – Adottare logiche di fatturazione elettronica
porterebbe al Sistema Paese benefici che variano da 7-8 miliardi di
euro/anno fino a circa 60 miliardi di euro/anno, nel caso in cui
vengano idealmente coinvolte tutte le fasi e i documenti del ciclo
ordine-pagamento”.

Gli stessi principi di integrazione, collaborazione e
dematerializzazione applicabili nell’ambito del ciclo
dell’ordine possono essere estesi anche ad altre tipologie di
documenti, come per esempio libri e registri contabili, contratti,
documenti assicurativi e doganali. “Le pagine di libri e registri
contabili prodotte ogni anno in Italia sono circa 4 miliardi e la
loro dematerializzazione comporterebbe benefici per il Sistema
Paese che ammontano a circa 3,5 miliardi di euro/anno – prosegue
Perego – Se si prendono in considerazione i 100 milioni di
contratti di compravendita stipulati ogni anno, i benefici legati
alla dematerializzazione sono altrettanto interessanti, pari a
circa 3 miliardi di euro/anno”.
Anche la dematerializzazione di documenti a valenza settoriale
rappresenta un’opportunità per il Sistema Paese: i fascicoli
assicurativi, per quanto riguarda la sola RC auto (35 milioni di
fascicoli all’anno sul territorio nazionale), potrebbero portare
benefici nell’ordine di circa 1,5 miliardi di euro/anno; la
dematerializzazione dei fascicoli doganali (13 milioni di fascicoli
all’anno in Italia) potrebbe consentire un risparmio
indicativamente dell’ordine di grandezza di circa 2,5/3 miliardi
di euro/anno.

“La strada per la dematerializzazione è, dunque, ampiamente
tracciata e in definitiva anche lastricata di interessanti
opportunità – rimarca Perego – Ora spetta a chi deve percorrerla
(organizzazioni pubbliche e private) attivarsi. Vi sono diversi
fattori che rendono a nostro avviso potenzialmente molto pericolosa
una scelta “attendista”: i benefici legati a questi progetti,
le iniziative di sistema già oggi in essere, il preannunciato
obbligo di Fatturazione Elettronica verso la PA, le crescenti
spinte alla dematerializzazione da parte del Legislatore nazionale
ed europeo, la già confortante diffusione di alcuni modelli di
Fatturazione Elettronica nel nostro Paese”.
A partire da questa analisi, l’Osservatorio ha aperto un altro
importante cantiere di Ricerca per approfondire le molteplici
opportunità legate ai temi della cosiddetta Financial Value Chain
e studiare le potenzialità derivanti dall’integrazione tra ciclo
logistico-amministrativo-commerciale e mondo finanziario.

La Financial Value Chain è un potenziale ambito di sviluppo della
fatturazione elettronica da sempre indicato come tra i più
interessanti e innovativi. Si tratta di aumentare il grado di
integrazione e collaborazione tra imprese e sistema bancario nei
processi di pagamento ed erogazione del credito. In questa area i
benefici vanno dall’automazione dei processi di pagamento –
grazie allo scambio di documenti in formato elettronico strutturato
e alla gestione delle principali informazioni di processo – fino
all’attivazione di nuovi modelli di erogazione del credito,
abilitati dalla maggiore visibilità che il sistema bancario può
avere sui processi transazionali della singola impresa o di un
sistema di imprese. L’idea, in sintesi, è che una maggiore
“trasparenza” sui processi commerciali – peraltro ottenibile
con sistemi automatici – sia pre-condizione che consente al mondo
bancario di ridurre il rischio di erogazione del credito e, quindi,
in ultima istanza, di erogare più credito a migliori
condizioni.

“È importante sottolineare che una più stretta integrazione
imprese-banche porterebbe benefici a tutti gli attori in gioco –
spiegano gli esperti del Polimi – Imprese, banche e provider di
tecnologia/servizi B2b. Alle imprese (quelle “virtuose”, che
non temono la trasparenza), in quanto potrebbero migliorare i
processi di pagamento e di gestione della liquidità e usufruire di
migliori condizioni di accesso al credito”.

Alle banche, in quanto potrebbero ottimizzare i loro processi di
pagamento e customer service, potrebbero migliorare i propri
modelli di valutazione del rischio e, in ultima istanza, potrebbero
aumentare il “mercato” dei servizi finanziari/creditizi. Ai
provider di tecnologia e servizi B2b, perché potrebbero
beneficiare di un allargamento del mercato delle soluzioni per la
dematerializzazione e l’integrazione del ciclo ordine-pagamento.
L’attuale “indefinitezza” di questo innovativo ambito di
sviluppo ha, però, fino a oggi impedito di passare dalle “belle
parole” ad azioni concrete di sviluppo di un’offerta da parte
del mondo bancario e/o dei provider di servizi e soluzioni B2b.

“Proprio per uscire da questa “impasse” abbiamo lavorato, in
questa Edizione dell’Osservatorio – conclude Alessandro Perego
– per identificare le principali tipologie di servizi in ambito
Financial Value Chain, per illustrare le modalità di creazione del
valore e infine per “ascoltare” l’opinione delle imprese su
questi temi”.

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