“Il testo enuncia principi e promuove diritti di grande valore, eliminando gli alibi di chi riteneva mancasse l’adeguato supporto normativo per il lavoro agile. Oggi in Italia si può e si deve fare. L’auspicio è che si possa diffondere in modo più capillare e profondo”. Il responsabile scientifico dell’Osservatorio Smart Working della School of Management Politecnico di Milano, Mariano Corso, commenta così l’approvazione definitiva della legge sul lavoro autonomo che introduce la disciplina dello smart working.
La nuova legge, sottolinea l’esperto, “costituisce un passo avanti per la diffusione dello smart working in Italia sebbene non consenta di fare qualcosa in più rispetto a prima, né tantomeno definisca obblighi di attuazione o incentivi”. Attenzione però a parlare di legge monca o debole perché, spiega l’esperto, “rappresenta ed enuncia alcuni principi fondamentali, come la possibilità di lavorare in modo flessibile rispetto al luogo e all’orario attraverso l’uso delle tecnologie digitali, con effetti positivi sia nel lavoro che nel work-life balance”. E, aggiunge, non bisogna trascurare l’importante attenzione data dalle norme alla sicurezza del lavoratore agile e al diritto alla disconnessione.
Attualmente, stima l’Osservatorio smart working del Polimi, sono già circa 250 mila in Italia i lavoratori subordinati che godono di discrezionalità nella definizione delle modalità di lavoro in termini di luogo. Circa il 7% del totale di impiegati, quadri e dirigenti. A fronte dei benefici concreti riscontrati e del favore dei lavoratori, molte imprese stanno ulteriormente estendendo il numero di persone coinvolte e l’intensità di applicazione. E sono già ben il 30% le grandi imprese che vantano iniziative ad hoc per il lavoro agile. Ma non si tratta di una sfida per soli big.
“Tocca ora alle Pmi e alle Pubbliche amministrazioni, rimaste per il momento ai margini del fenomeno, intraprendere questo percorso – fa notare il docente del Politecnico di Milano -. Dalla PA negli ultimi mesi sono arrivati segnali incoraggianti”. Corso ricorda l’approvazione finale del testo di riforma del Pubblico Impiego avvenuta a marzo, che ha confermato l’obiettivo di arrivare ad offrire ad almeno il 10% dei lavoratori forme di flessibilità (smart working, ma non solo) entro il 2018. “Certamente non basta – conclude Corso – ma fanno ben sperare sia il tentativo concreto avviato dalla Presidenza del Consiglio dei ministri che inizierà a far sperimentare lo smart working a 400 persone da novembre 2017, sia alcuni bandi pubblici recentemente pubblicati per dare supporto alle PA che vogliono approcciare questo cambiamento”.