5G, l’Italia ha imboccato la strada giusta. Non era scontato: innumerevoli le sfide lanciate dallo “standard del futuro” che promette di trasformare l’intero sistema economico: si prevede che entro il 2035 possa generare 12,3mila miliardi di dollari, 22 milioni di posti di lavoro, un contributo al Pil mondiale equivalente all’attuale valore dell’economia indiana, la settima del mondo.
La corsa è internazionale. Usa e Asia accelerano per tagliare il traguardo del 2020: una leva saranno le Olimpiadi di Tokyo che già promettono servizi inediti sulla scorta della nuova tecnologia mobile. Anche l’Action Plan europeo punta alla stessa dead line cercando la quadra di uno scenario frammentato e attraversato da battaglie sotterranee che coinvolgono rapporti di forza fra governi, Tlc, produttori di apparati, broadcaster: l’ultimo braccio di ferro in scena è fra una quindicina di Stati e Bruxelles sulla durata minima delle licenze per le frequenze: la Ue propone “prescrizioni” che le authority locali vedono come un tentativo di golpe al proprio potere.
Ma l’ostacolo numero uno sono le frequenze: disponibilità, modalità di assegnazione, prezzi delle gare. A fronte di Paesi come la Francia e Germania dove le aste sono già state effettuate, le “piste” per la grande corsa sono regolate da velocità diverse. Tranne Finlandia e Svezia che guidano la carica ci sono Stati (Spagna, Slovacchia, Ungheria) che non hanno ancora comunicato la propria dead line (qui sotto un grafico pubblicato dalla testata Policy Tracker che ringraziamo).
L’Italia ha recuperato terreno da una posizione non certo da prima della classe: scenario frequenziale fortemente compromesso da gestioni passate, mercato delle Tlc provato dalle guerre dei prezzi, regolamenti particolarmente stringenti sulle emissioni elettromagnetiche che fanno a pugni con le esigenze tecniche delle future celle.
Ma il bando lanciato dal Mise “5 città in 5G” ha il merito di aver sparigliato le carte dando la scossa agli stakeholder. Il piano vedrà l’Italia tagliare il traguardo europeo nella sperimentazione del 5G in grandi centri abitati chiamando a raccolta non solo le telco, ma anche industria e università nella messa a punto di un’anteprima del “favoloso mondo del 5G”: con l’auspicio che le condizioni ottenute per i test possano sopravvivere oltre la sperimentazione stessa.
Ma siamo ancora ai primissimi passi della rivoluzione e i passi sono tanti: frequenze, prima di tutto. Ma anche grosse sfide regolamentari di cui la più vistosa è la revisione dei limiti per le emissioni elettromagnetiche che tutta l’industria Tlc-Ict chiede a gran voce.
Ma “No spectrum, no party”, dicono gli esperti. Senza frequenze non ci sarà nessun magico mondo del 5G. In questa newsletter raccogliamo le interviste che CorCom ha fatto a esponenti del mondo istituzioni, Tlc, apparati, sulla complicata partita dello spettro radio su cui si gioca la realizzazione della rete 5G. L’appello è unanime: servono frequenze, in tutte le bande cosiddette “pioniere” individuate dalla Commissione Ue: la banda 700Mhz (in Italia ancora occupata dalle Tv), la 3,4-3,8Ghz, occupata dalla Difesa, ponti radio, collegamenti satellitari e (fino al 2022) dal wimax. E infine la banda 26-28Ghz attualmente parzialmente occupata, anche questa fino al 2022, da Enel Open Fiber e da Eolo grazie alla gara del 2016.
Nel corso di un roundtable organizzato da I-Com Antonio Sassano, massimo esperto di frequenze, Professore Ordinario di Ricerca Operativa alla Sapienza di Roma, ha illustrato le tappe che l’Italia dovrà seguire per farsi trovare pronta all’appuntamento: liberazione entro il 2022 della 700Mhz (e dunque un piano Agcom per la stessa data) e transizione vera e propria nell’arco di tempo 2018-2022. E liberazione dell’intera banda 3,4-3,8 Ghz: le 5 città pilota cui si riferisce il bando del Mise avranno 100 Mhz contigui per ogni singolo operatore, ma – si chiede Sassano – “cosa succederà dopo la sperimentazione?”. Significa che anche post bando serviranno gli stessi 100 Mhz, il “minimo sindacale” richiesto dall’Itu. La banda 3.4-3.8 GHz infatti, spiega Sassano, interessa operatori diversi: telco tradizionali, ultimo miglio banda larga, nuovi entranti innovativi. Dunque “ne abbiamo bisogno dal 2020 ed in quantità sufficiente a soddisfare le esigenze e garantire la concorrenza. In prospettiva, al 5G dovrà essere assegnata l’intera banda 3.4-3.8 Ghz”. Come assegnare tutte le frequenze necessarie? La proposta di Sassano è “liberazione sincronizzata” sia della banda 700 Mhz sia di quella 3,4-3,8 Ghz. Così da garantire una gestione ottimale per la preparazione del terreno al mondo 5G.
Ecco raccolte le interviste più “calde” realizzate sul tema da CorCom: troverete cosa ne pensano il sottosegretario alle Comunicazioni Antonello Giacomelli, il commissario Agcom Antonio Nicita, Alessandro Casagni Director Wireless Regulatory Policy Emea, Huawei Wireless Network Product, Gabriele Elia Responsabile Technological Scouting, Trend Analysis & Future Center di TIM, David Soldani Global Head of 5G Technology Nokia, Dino Flore Chairman of 3GPP RAN e Director General 5G Automotive Association, Gina Nieri direttore degli affari istituzionali e membro del comitato esecutivo di Mediaset, Gérard Pogorel Professore di Economia e Management Emeritus alla Télécom ParisTech, Andrus Ansip European Commission Vp per il Digital Single Market.