Carta di identità elettronica, Mazzocca: “Serve un piano di servizi”

“Il rilancio del documento elettronico sarà un successo solo a patto che i cittadini possano sfruttare le reali potenzialità della card e che i sistemi siano totalmente interoperabili”. Parola di uno dei massimi esperti italiani di identità digitale

Pubblicato il 24 Mag 2011

"Il rilancio della Cie, oltre ad aprire una nuova stagione
dell’identità in rete, potrebbe rilanciare tutta
l’innovazione. A patto che si sviluppi un piano di servizi della
PA che permetta anche ai privati di sfruttare le possibilità
offerte dalla card". Ne è convinto Nicola Mazzocca, ordinario
di Sistemi di Elaborazione del Dipartimento di Informatica e
Sistemistica dell’Università di Napoli “Federico II” nonché
uno dei massimi esperti italiani di identità digitale.

Che la Cie possa essere una testa d’ariete per
l’innovazione è un refrain che sentiamo da tempo. Ci spiega
come?

La Cie funzionerà come unico supporto per i dati relativi, appunto
all’identità, ma per quelli contenuti nella tessera sanitaria e
nella patente. Ora, perché la Cie sia vòlano per l’IT pubblico,
è necessario che le banche dati dove quelle info risiedono siano
in grado di integrarsi. Il che vuol dire investire
nell’interoperabilità laddove ancora non sia garantita. Il punto
di riferimento è il sistema Ina-Saia del ministero dell’Interno
che consente il collegamento delle anagrafi comunali.
L’interoperabilità di servizi, banche dati e scambi di messaggi
tra PA deve avvenire in modo sicuro, rendendo agevole
l’integrazione delle diverse applicazioni. Vanno poi potenziati i
domini di cooperazione tra sistemi informatici di competenza dei
diversi enti per favorire lo sviluppo di nuovi processi di
semplificazione.

Allora dov’è il “costo zero” rivendicato da Tremonti
e Brunetta?

Nel decreto sviluppo sono indicati gli obiettivi della Cie. Restano
da sviluppare i regolamenti attuativi che dovranno anche stabilire
il ciclo di vita della card e normare la questione delle scadenze
diverse di carta di identità, patente e tessera sanitaria. È
sulla parte applicativa del decreto sviluppo che si dovrà dunque
prevedere la modalità di gestione e quindi chiarire – se
necessario – il “quantum” di investimento per realizzare o
modificare un servizio esistente. Si potrà capre se si tratta di
un costo o razionalizzare la spesa. Investire in innovazione
significa infatti aumentare l’efficienza complessiva del sistema
anche dal punto di vista dei costi.

Il governo fa le “prove generali” con la carta digitale
destinata ai dipendenti pubblici…

Credo che sia una buona “prova generale”. Perché permette di
monitorare in un ambito più ristretto il funzionamento del
servizio, dal rilascio fino alla scadenza passando per
l’erogazione di servizi digitali, evidenziandone eventuali
criticità.

A proposito di criticità, fino ad oggi i Comuni hanno
opposto resistenza alla Cie, non tanto per la validità del
progetto quanto per il costo in termini di investimento. Oggi cosa
è cambiato?

A cambiare il quadro ha contribuito il Cad con l’aggiornamento
appena varato. Il provvedimento rappresenta una valida cornice a
supporto degli enti che si muovono sulla strada dell’innovazione:
le Regioni e l’Anci hanno salutato con favore il nuovo codice. Ma
resta pacifico che al Cad va affiancato un piano di investimenti ad
hoc per l’innovazione.

Restiamo sul tema degli investimenti. Che fine fanno le
carte regionali dei servizi (Crs) come quelle distribuite dalla
Lombardia a fronte di importanti impegni economici?

Il decreto non richiede di cambiare le applicazioni che viaggiano
nelle Crs o nelle carte nazionali dei servizi, ma stabilisce
compatibilità tra i due supporti.

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