“Personalmente resto convinto che la strada maestra per sconfiggere la pirateria online sia una maggiore assunzione di responsabilità da parte dei grandi intermediari di internet, pur rispettando le notevoli diversità dei rispettivi ruoli”. Lo dice in un’intervista a CorCom Stefano Previti commentando i dati emersi dalla nuova indagine sulla pirateria audiovisiva in Italia realizzata da Ipsos su commissione di Fapav, la federazione per la tutela dei contenuti audiovisivi e multimediali. Previti, avvocato specializzato in diritto della proprietà intellettuale, diritto delle comunicazioni e di diritto societario, è tra i fondatori dell’Osservatorio web legalità e ha assistito Mediaset Premium nella causa che ha visto la PayTv citare in giudizio RojaDirecta per la diffusione illegale delle dirette televisive degli eventi sportivi.
Avvocato Previti, il bicchiere è mezzo pieno per via della diminuzione complessiva del fenomeno, o mezzo vuoto per l’aumento sostenuto della pirateria digitale?
Preferisco vedere il bicchiere mezzo pieno, ma non per la leggera diminuzione complessiva, quanto piuttosto per un atteggiamento più consapevole e maturo nei confronti della minaccia della criminalità digitale, sia da parte degli addetti ai lavori, sia da parte dell’opinione pubblica. Sottolineo in particolare la sensibilità e la competenza mostrata dalla magistratura italiana, così come da tutte le altre nostre istituzioni rispetto al tema della protezione del diritto d’autore.
Sensibilizzazione degli utenti finali e sanzioni amministrative che colpiscano chi scarica o guarda in streaming contenuti illegali. Può essere la ricetta giusta?
L’indagine ha mostrato un dato importante e preoccupante, ossia che chi scarica illegalmente contenuti non percepisce la gravità delle sue azioni e delle conseguenze che da esse derivano: in questo senso potrebbe essere utile sanzionare anche gli utenti e darne pubblicità.
Come si arriva tecnicamente a individuare i singoli utenti, due italiani su cinque, che ricorrono ai contenuti pirata?
Questa attività non è complessa, ma presuppone comunque la destinazione di risorse a tale scopo e si sa che le risorse a disposizione per combattere i crimini digitali non sono infinite, né nel settore privato né tanto meno in quello pubblico.
Questa strategia non sarebbe un po’ una resa nei confronti delle associazioni criminali che sui contenuti pirata hanno costruito il loro business?
Se si perseguisse solo l’utente finale sì, ma non credo che chi ha avanzato questa ipotesi intendesse questo. Si tratta piuttosto di sanzionare anche chi consuma consapevolmente contenuti illeciti, al contempo rafforzando l’attacco a chi organizza, gestisce e lucra con la pirateria.
Spesso, soprattutto se parliamo di cinema, il film pirata è l’unica alternativa per chi vuole vedere un film appena uscito e non vuole – o in alcuni casi non può – andare al cinema. Sarebbe sensato dal suo punto di vista rendere più elastico il sistema delle “windows”?
Secondo me no e anche i dati della ricerca dimostrano che non è dalle finestre che dipende la pirateria. L’offerta legale è molto ampia e la pirateria colpisce sia ciò che è in sala sia ciò che non lo è più ed è disponibile legalmente online. D’altra parte, si tratterebbe di un ulteriore grave danno non solo per l’industria cinematografica, ma anche per la cultura: il film in sala è un’esperienza unica e non sostituibile dai nuovi congegni tecnici, come è stato giustamente fatto notare nel corso dell’evento organizzato dalla Fapav. Dunque il cinema merita sostegno, e non certo altre ingiuste mazzate.