Anche nella crisi Rai c’è sempre un prima, un durante e un dopo. Sulla nomina di Mario Orfeo come nuovo direttore generale della Rai si è detto, quasi, tutto. Nei demeriti si legge della sua, presunta, accondiscendenza verso il governo (più del precedente che di quello attuale), tra i meriti (molti) si legge dei successi ottenuti negli ascolti del Tg1 da lui diretto e delle precedenti esperienze professionali dove ha sempre fatto rilevare le sue capacità.
Vediamo il prima: il suo predecessore, Antonio Campo Dall’Orto, arriva a Viale Mazzini nel pieno dell’onda lunga dell’ex Presidente del Consiglio Renzi e della sua visione delle Aziende pubbliche. Il ritornello era “un uomo solo al comando” e, in questo modo, si sperava di poter gestire in modo ottimale tutto, o quasi. Di per sé, il ragionamento potrebbe avere una logica. Succede, anche in casa Rai, che le mille difficoltà procedurali, le gabbie burocratiche, spesso bloccano, limitano, ostacolano ogni progetto di sviluppo, seppure ben sensato. In questa logica ACDO si è presentato in Rai animato delle migliori intenzioni forte anche di un discreto successo nella sua precedente esperienza a La7. Però, si è presentato anche accompagnato da un nutrito gruppo di suoi fidati collaboratori, ben pensando che a Viale Mazzini siano tutti stracotti o, ben che vada, non meritevoli della sua fiducia. Il mandato che gli era stato assegnato dal Governo appariva chiaro (ma neanche tanto): fare dell’Azienda radiotelevisiva pubblica un docile strumento di servizio utile al fine della ricerca e consolidamento del consenso politico, laddove altri, più o meno, hanno fallito. A giudicare dai risultati negativi che gli sono stati attribuiti (vedi uno per tutti il referendum) si potrebbe sostenere “failed mission” e da lì alle dimissioni il passo è stato breve dove la pietra d’inciampo è stata l’informazione (vedi piano editoriale e la vicenda Verdelli).
Il durante si presenta sullo stesso filone: anzitutto l’informazione, cioè mettere mano a quella delicatissima macchina che gestisce, ordina, determina l’agenda politica quotidiana del Paese. Non è un caso che buona parte del vertice aziendale sia in mano a giornalisti, a partire dalla Presidente Monica Maggioni. Fin qui tutto bene: anzitutto le notizie, che significa, semplicemente, cosa raccontare, come, in che modo. È una bella responsabilità e, con le elezioni alle porte, si può ben immaginare la posta in gioco. Specie dove, come da tempo molti specialisti sostengono, con la televisione non è scontato che si vincono le elezioni, ma il suo controllo può influire in modo rilevante su una parte dell’elettorato che spesso si presenta incerto e confuso.
Il durante, inoltre, si presenta con un quadro certamente non tranquillizzante. Abbiamo già scritto sulle imminenti scadenze inderogabili, anzitutto la presentazione dei palinsesti prevista per il prossimo 28 giugno e, strettamente connessa, la questione del tetto ai compensi di 240 mila Euro. A ridosso si pone con urgenza la gestione, di rilevante complessità, del nuovo Contratto di servizio. Il tutto in un quadro economico che non farà dormire nei prossimi mesi sonni tranquilli al successore del CFO, Raffale Agrusti, appena dimesso (altra urgente grana per Orfeo).
Il raccordo tra il prima, il durante e il dopo sembra essere uno solo: la squadra (non più l’uomo solo al comando) che governa Viale Mazzini. In cosa, sostengono molti ha sbagliato sostanzialmente ACDO? Nella scelta dei suoi collaboratori. Non sempre essere capaci è un merito in quanto tale. Occorre qualcosa di più e, nei meandri di elevatissima complessità della Rai, è assolutamente necessario possedere altro: l’esperienza e la conoscenza di una macchina che non ha confronti con nulla di quanto già esistente. Quando un manager, seppure valido, deve impiegare settimane, mesi, solo per capire da che parte stanno gli ascensori qualcosa non torna. Gira ancora la storiella: uno dei nuovi megadirettori voluti dall’ex DG ha dovuto faticare non poco per capire la differenza tra un tricamere inteso come appartamento di tre vani e un tricamere inteso come mezzo di produzione Tv.
E veniamo al dopo. Nel giro di poche ore il nuovo Direttore Generale dovrà fare scelte impegnative (già abbiamo scritto) e, per prima, dovrà rapidamente far intendere con chi intende andare avanti. Le caselle sensibili, quelle che governano effettivamente l’azienda (compresa quella parte che non è solo Tg o Gr) sono o scoperte (vedi CFO e CSO e, forse, presto anche quella CTO) o ancora in mano a chi è stato saldamente vicino al precedente DG (vedi Affari Legali, che dovrebbe coordinare le trattive per il Contratto di servizio) come pure la Direzione Risorse Umane (dove ancora bruciano le recenti vicissitudini con i sindacati). Delle due l’una: o rinnova la fiducia a tutto il suo staff, a partire dal suo capo, e in questo caso sarebbe difficile capire la logica delle dimissioni di ACDO, perché è evidente come le colpe del suo fallimento non possono essere addebitate solo a lui, oppure Orfeo rimescola le carte e propone una iniezione di fiducia ai dirigenti storici ed esperti che pure a Viale Mazzini non mancano. Se è pur vero che la Rai è la più grande Azienda di produzione culturale del Paese, si tratta di scelte di politica industriale, non solo di nominare un direttore di testata. Si tratta, ad esempio, di dare un impulso rapido ed efficace sugli indirizzi di mercato che interessano la quotata Rai Way, con un presidente in carica che è anche DG di una azienda esterna e un Consiglio con la maggioranza di indipendenti.
Il futuro della Rai è dietro l’angolo e non sembra che ci sia molto tempo da perdere.