Non desta certo stupore che anche per il 2016 l’Italia sia risultata tra i fanalini di coda in relazione alla diffusione del digitale nell’Ue. Tutti gli indicatori del Digital Economy and Society Index (Desi) sono significativamente distanti dalle medie europee: in particolare, la percentuale di abbonati alla banda ultralarga arriva al 12% in Italia, contro una media Ue del 37%, con una copertura della rete attorno al 72% della popolazione.
Il piano nazionale banda ultralarga è stato approvato dalla Commissione Ue Aiuti di Stato a giugno 2016 e quindi solo negli ultimi mesi è stato possibile avviare l’iter per assegnare i fondi pubblici per la realizzazione delle infrastrutture ad accesso fisso di nuova generazione nelle aree a fallimento di mercato, con l’immancabile corollario di eccesso di burocrazia, come riconosciuto perfino dalla Corte dei Conti, ricorsi e contenziosi. Il gap infrastrutturale rispetto alle eccellenze europee pertanto potrà essere colmato solo in un orizzonte temporale piuttosto lungo, escludendo nel frattempo una rilevante massa di aziende e cittadini dalla leading edge tecnologica.
Inutile soffermarsi sulle cause del ritardo. Il dibattito sulla modalità di realizzazione delle reti di nuova generazione è vecchio di oltre dieci anni. Gli operatori del settore si sono arrovellati in un dibattito sempre più sterile, dovendo misurarsi con un mercato in costante contrazione, la crisi economica post 2008, la pressione degli Ott, il graduale affievolirsi di rendite di posizione, il rischio di svalutazione contabile degli asset storici, i consistenti capitali assorbiti dalle reti mobili, l’aspettativa di riuso di infrastrutture di posa esistenti, le incertezze sull’evoluzione del quadro regolatorio e i più svariati contenziosi tra player.
In mancanza di un’autorevole regia capace di dipanare questa enorme matassa e creare le condizioni perché l’interesse del mercato telco nel suo complesso fosse prevalente rispetto a quelli dei singoli player, il risultato è stata la focalizzazione su poche realtà territoriali nella realizzazione delle infrastrutture di nuova generazione. Sotto la pressione dei target di copertura imposti a livello Ue da Horizon 2020, si è spalancata un’autostrada per un nuovo player, proveniente da un mercato infrastrutturale adiacente, che si è rapidamente posizionato come wholesaler d’infrastrutture in fibra (Open Fiber).
A questo punto la crisi di identità delle telco tradizionali è palese. Schiacciati dalla strabordante pressione degli Ott, che guardano sempre più al mondo dei servizi tradizionali, e dalle fiber co., che renderanno via via obsolete le infrastrutture storiche, il valore che resterà nelle mani delle telco nel mercato dei servizi su accesso fisso rischia di essere residuale. E tornano attuali gli stessi dilemmi dello scorso decennio: una rete in alternativa a più reti, investire su reti oppure su servizi, creare una società della rete e il rapporto con gli Ott.
La speranza, per uscire da questa situazione di stallo e iniziare a scalare la classifica europea dei Paesi con una migliore connettività, è che si riesca a trovare un accordo per avere un unico operatore anche nel settore delle telecomunicazioni – che si possa distinguere per intelligenza, performance e servizi – seguendo l’esempio dalle reti energetiche e ferroviarie.