Sale la polemica sulle norme relative alla data retention che estendono da due a sei anni (72 mesi) la possibilità di conservare i dati di traffico telefonico e telematico per motivi di sicurezza. L’impennata arriva in seguito a un emendamento approvato il 19 luglio alla Camera dei Deputati, all’interno di una legge che recepisce le norme comunitarie. Se approvato anche al Senato, per la prima volta in Italia la conservazione di tabulati telefonici e dati sul traffico telematico verrà dunque portata a sei anni – anche se l’accesso ai dati dovrebbe essere limitato “per le finalità di accertamento e repressione” di una serie di reati gravi citati nella norma.
Per il Garante Privacy, Antonello Soro, l’emendamento introduce modalità di trattamento dei dati di traffico telefonico e telematico in palese contrasto con l’ordinamento e con la giurisprudenza dell’Unione europea. “E’ evidente – spiega Soro – che il contrasto al terrorismo rappresenti un obiettivo di interesse generale e quindi non è in discussione la raccolta e la conservazione di dati, quanto i tempi di conservazione e le modalità di accesso agli stessi. Le norme e la giurisprudenza europea precludono una raccolta generale e indiscriminata dei dati di traffico telefonico e telematico, perché non è proporzionata alle esigenze investigative e al nucleo essenziale del diritto alla protezione dati e non può quindi essere giustificata in una società democratica”.
“Gli stati membri possono invece prevedere obblighi di raccolta dei dati per obiettivi specifici al solo fine di contrasto di reati gravi, purché siano limitati temporalmente in misura proporzionata alle esigenze investigative e riguardino le sole informazioni a ciò strettamente necessarie – sottolinea il Garante -. L’acquisizione dei dati stessi, inoltre, deve secondo la Corte di giustizia essere soggetta a specifiche condizioni, incluso il controllo da parte di un giudice o un’autorità indipendente”.
“Pur essendo consapevole dell’esigenza di non ritardare l’approvazione della legge europea con una terza lettura – conclude – penso che sia comunque indispensabile che il legislatore riconduca questa disciplina al criterio della proporzionalità. In futuro si dovrà meglio definire, con una disciplina organica e meno estemporanea, una materia cosi ricca di implicazioni sui diritti dei cittadini e sulle esigenze di giustizia”.
La data retention in Italia era fissata dal Codice della privacy in due anni per il traffico telefonico, un anno per quello telematico, 30 giorni per le chiamate senza risposta. Una durata allungata con il decreto legge antiterrorismo del 2015 che aveva imposto la conservazione di tutti i dati fino al 30 giugno 2017, in deroga al Codice: di fatto si poteva conservare fino a 4 anni.
Ma di che informazioni si tratta? Non del contenuto delle conversazioni ma dei loro metadati: per il traffico telefonico informazioni come mittente, destinatario, data e durata di una chiamata, cella telefonica; per quello telematico di data e ora della connessione e disconnessione, indirizzo IP ma non i siti visitati o gli Ip di destinazione.
Con lo scadere del 30 giugno sono tornate ad essere valide le norme del Codice (2 anni). “Nel momento in cui è caduta la precedente proroga, si è scelto, in consonanza con gli uffici governativi che seguono questi temi e triangolando con chi si occupa di antiterrorismo, di cogliere l’occasione per una risposta più strutturata”, spiega il deputato Pd Walter Verini.
A lanciare l’allarme Privacy anche una serie di associazione. Il Centro per la Trasparenza e i Diritti Umani Digitali, che parlano di raccolta “indiscriminata” e di “tempo enorme”.
Per Aiip (Associazione italiana internet provider) l’emendamento è “un ulteriore attacco alla libertà e all’intelligenza dei cittadini occultando all’interno di un emendamento che tratta tutt’altra materia un provvedimento sulla conservazione dei dati di traffico telefonico e telematico che, in chiara violazione della giurisprudenza comunitaria, avrebbe richiesto ben altra attenzione. Aiip, auspica pertanto che questo emendamento venga ritirato e che le istituzioni aprano una riflessione seria sul tema del rapporto fra operatori di telecomunicazioni e strutture investigative dello Stato, argomento sul quale Aiip è da sempre in prima linea nell’offrire massima cooperazione, nel rispetto di regole chiare”.