Prima le reti in fibra o prima la domanda di servizi evoluti? Il dibattito su una questione che nel nostro Paese ha tenuto testa per anni sembrava essere archiviato. E invece la questione è niente affatto che sopita. Se da un lato è vero che l’Italia ha fatto un decisivo balzo in avanti in tema di infrastrutturazione – grazie ai bandi Eurosud il Mezzogiorno non solo ha recuperato il gap con il resto del Paese ma addirittura è passato a guidare la classifica nazionale – e che il tema della banda ultralarga è diventato una priorità con i bandi Infratel per portare la rete anche nelle aree a fallimento di mercato, dall’altro lato è anche vero che la domanda non ha subito un’accelerazione al passo con la realizzazione delle reti.
Il punto è stato fatto in occasione del convegno “Italia a velocità Gigabit” organizzato dalla Provincia di Roma. “Sulla banda ultralarga sono stati fatti straordinari passi avanti – ha detto Vincenza Bruno Bossio della Commissione Trasporti e Tlc della Camera -. Eppure se si guardano ai dati relativi alle regioni del Sud, si scopre che a fronte di una copertura di rete pari al 70% della popolazione, in grado di garantire connettività a 30 Mb, solo il 10% dei cittadini ha attivato i servizi. Con questi numeri sarà complicato raggiungere l’obiettivo nazionale del 50% di utenti connessi al 2020. Dunque bisogna intervenire sulla questione dello sviluppo digitale del Paese puntando su dematerializzazione e Industria 4.0. Ma Industria 4.0 non è solo iperammortamenti: bisogna fare in modo che l’IoT diventi un paradigma fondante”.
Secondo i dati EY all’appello dell’Italia online mancano all’appello 23,9 milioni di utenti: “Le nostre ultime rilevazioni – ha sottolineato Silvestro Demarinis Loiotile, responsabile dell’Osservatorio Ultrabroadband – 7 milioni di famiglie non usano Internet ma sono molte anche le imprese offline”. Il manager ha però evidenziato che si sta procedendo a gran ritmo sul fronte delle connessioni in fibra: “Siamo a quota 3 milioni di accessi, con un ritmo di 600-700mila all’anno”. “Stando al Mise già nel 2018 un’importante parte della popolazione sarà raggiunta dall’Internet veloce”, ha sottolineato dati alla mano il presidente dell’Ordine degli Ingegneri della provincia di Roma Carla Cappiello la quale ha evidenziato il balzo dal 26% al 71% per quel che riguarda le connessioni a 30 Mb e dal 10% al 23% per quelle a 100 Mb.
Per Guido Giacomo Ponte, chief economist public affairs di Tim “va affrontata la questione della domanda”. “Ormai la fibra c’è, abbiamo superato la Francia e stiamo scalando la classifica europea, ma è sottoutilizzata”. I voucher possono essere una soluzione ma secondo il manager “servono operazioni di concerto pubblico-privato in modo da stimolare la domanda”. Visione agli antipodi quella di Stefano Takacs, Responsabile Network Engineering di Wind Tre: “La domanda c’è eccome e sta crescendo a ritmo esponenziale. Negli ultimi due anni abbiamo assistito al raddoppio della domanda di dati passando nel fisso da 37 a 68 GB al mese solo su Adsl e da 72 a 110 al mese per la fibra. Si tratta di volumi importanti e l’attuale infrastruttura non è adeguata alle necessità del Paese. La fibra è essenziale e senza la fibra non si potrà portare avanti la sfida 5G. È proprio verso il 5G che Wind Tre si sta muovendo, modernizzando l’intera rete e preparandosi ad affrontare il futuro servizio con un nuovo modello di business. A tal proposito ben venga, quindi, la sperimentazione 5G proposta dal Mise, perché ci consente di testare non solo la nuova tecnologia, ma anche l’ecosistema che ne piloterà lo sviluppo”.
Da parte sua Lisa Di Feliciantonio, head Media relations & public affairs di Fastweb ha acceso i riflettori sul mercato: “Solo attraverso la competizione si potrà garantire innovazione. E non è vero che in Italia due o più reti non sono sostemnibili. Non è stato così nel mobile e anche nel fisso si può trovare una strada che consenta di accrescere le risorse a disposizione del paese e anche di garantire la sostenibilità economica agli investitori attraverso la condivisione di parte delle infrastrutture”. Secondo la manager il cavidotto sta alla rete fissa come il traliccio a quella mobile: “Bisogna condividere il condivisibile e non pensare che una sola rete sia la soluzione migliore. Basta guardare al caso Nbn in Australia per farsi un’idea di quanto non sia auspicabile creare nuovi monopoli, nel pubblico e nel privato”.
Nessun “attrito” apparente dunque con la new entry Open Fiber, che sta procedendo a ritmo serrato con la posa della fibra nelle aree nere in attesa di avviare i cantieri in quelle bianche (l’azienda si è aggiudicata le prime due gare Infratel). “A fine luglio saranno avviati i lavori in 51 Comuni che fanno capo alla prima gara” ha annunciato l’Ad Tommaso Pompei ricordando che “Open Fiber si contraddistingue dalle altre aziende oltre che per essere una compagnia wholesale only anche perché fa solo connessioni Ftth”. E l’azienda guarda anche al 5G: “Stiamo valutando di replicare il modello wholesale only, in ottica network as a service”. Il 5G però non sarà una sfida da poco: “Potrebbero essere necessari 42.000 siti microcelle per coprire una città come Londra. Dunque siamo di fronte a investimenti ingenti e servono sinergie importanti pubblico-privato nonché un connubio intelligente fibra-wireless”, ha puntualizzato Paolo Reale, presidente della Commissione Informatica dell’Ordine degli Ingegneri della provincia di Roma.
E prima ancora che si arrivi al 5g si guarda già al futuro: “Il 6G è calendarizzato per il 2030 – ha annunciato Maurizio Dècina, presidente di Infratel – e sarà uno standard per l’intelligenza artificiale e il cognitive computing”. E riguardo al 5G, Dècina evidenzia la necessità di monetizzare le nuove reti: “La sorgente di revenues più interessante sono senza dubbio le reti aziendali. È su queste che bisogna puntare”, ha detto sottolineando che il prezzo per GB sta precipitando. “Tra 4-5 anni il cap non ci sarà più, si arriverà a 0,15 centesimi per Gb”. Secondo Dècina “l’integrazione fisso-mobile è già in atto, ma è evidente che senza backhaul a 100 Gb al secondo, ossia senza fibra, è impensabile far decollare il 5G. Non c’è più rame che tenga”.
“Per far decollare il 5G serve un patto impresa-ricerca”, ha detto il sottosegretario alle Comunicazioni Antonello Giacomelli. Spettro, elettrosmog e latenza i tre nodi da sciogliere. L’Italia parte in testa con 5 sperimentazioni. “Per vincere la corsa dobbiamo unire le forze”.