Dodici anni di reclusione. E’ la richiesta della Procura sudcoreana nei confronti di Lee Jae-yong, erede della famiglia fondatrice di Samsung , vicepresidente e leader de facto del gigante dell’elettronica, accusato nel procedimento intentato alla Corte centrale distrettuale di Seul, nell’ambito dello scandalo che ha portato all’impeachment e poi all’arresto dell’ex presidente della Repubblica Park Geun-hye.
Il vice presidente di Samsung Electronics ha negato di nuovo oggi, trattenendo a stento le lacrime, di avere mai cercato favori politici: “Non ho mai chiesto a nessuno, incluso il presidente – ha detto durante la sua dichiarazione conclusiva – alcun vantaggio per l’azienda o per mio tornaconto personale”
Arrestato a febbraio, il rampollo della famiglia Lee secondo l’accusa avrebbe promesso o versato 43,3 miliardi di won (38,3 milioni di dollari) a Choi Soon-sil, la confidente e “sciamana” dell’ex presidente Park, al fine di ottenere il sostegno del fondo pensione pubblico al piano di riassetto intragruppo, il cui scopo era di rafforzare il suo controllo sulla catena di comando. Sul totale, 20,4 miliardi di won sarebbero finiti a Mir e K Sports, fondazioni dubbie riconducibili a Choi.
Il pronunciamento della corte è previsto per il 25 agosto, due giorni prima della scadenza dell’attuale periodo di detenzione: se venisse riconosciuto colpevole e la corte accogliesse la richiesta della Procura, la condanna per Lee Jae-yong sarebbe la più alta che la Corea del Sud abbia mai disposto per un manager di primo piano di una propria multinazionale.