L’Italia, insieme alla Germania e alla Francia, è uno dei Paesi che ha contributo in misura maggiore a fare dell’Europa il secondo mercato della robotica al mondo, dopo l’Asia, con una quota di vendita di robot industriali dell’2,6% a livello globale (rispetto al 7,9% della Germania e all’1,2% della Francia). In Italia, nel 2015, le vendite hanno raggiunto un record di 6.700 unità, con una crescita del 7% che ha permesso di compensare il calo del triennio 2010-2013. Tuttavia, l’Italia mostra ancora ritardi sul fronte dell’Industria 4.0, rispetto al contesto internazionale, a causa del divario in materia di reti di connessione e sulle competenze della forza lavoro.
È quanto emerge dal report dell’Istituto per la Competitività I-Com, “Il futuro dell’industria europea. Digitalizzazione, Industria 4.0 e il ruolo delle politiche nazionali ed europee”, che sarà presentato domani a Bruxelles, presso la sede dell’Europarlamento, alla presenza di diversi rappresentanti della Commissione Ue e altri stakeholder europei. Lo studio parte da un’analisi delle tendenze globali del settore manifatturiero per sottolineare l’importanza che questo tipo di industria ancora detiene nell’economia mondiale. Il report descrive poi il potenziale di penetrazione dell’Internet of Things nell’industria manifatturiera per analizzare, infine, in maniera comparativa, le politiche europee, nazionali ed extra-Ue relative al settore.
Secondo i dati di I-Com, nonostante un calo della produzione totale del 6,8%, tra il 2011 e il 2016, l’Italia continua ad essere la seconda potenza europea leader del settore manifatturiero dopo la Germania, collocandosi al settimo posto della classifica mondiale. Dallo studio, in particolare, emerge che l’introduzione delle tecnologie digitali nella produzione europea è ancora lontana dal poter competere con i rapidi progressi della Cina e dei Paesi asiatici. Tuttavia, da questo punto di vista, l’Italia si distingue grazie a una significativa integrazione di robot nella propria attività industriale, per la quale si stima una crescita di qui al 2019 del 35% (da 6.700 unità a 9mila). Ciò nonostante, la quota italiana a livello globale diminuirà nei prossimi due anni (arrivando al 2,2%), a causa di un incremento notevole della quota di mercato asiatica, con la Cina che dovrebbe crescere dal 27% del 2015 al 38,6% del 2019 (da 254mila a 414mila unità). Già oggi, il 63,3% delle vendite si concentra in Asia e in Australia, contro il 19,7% dell’Europa.
I-Com ha elaborato inoltre un indice che misura il grado di preparazione dei Paesi europei all’Industria 4.0, sulla base della diffusione di tecnologie come il cloud computing, di identificazione a radiofrequenza (Rfid) e dei più avanzati sistemi tecnologici. La Finlandia è al top della classifica, soprattutto grazie all’adozione di alcune tecnologie (servizi di cloud computing e strumenti di analisi dei Big Data) e il livello elevato di occupazione sia di specialisti in Ict (Information and Communications Technology) sia di data analyst. A seguire troviamo Paesi Bassi, Germania e Danimarca. L’Italia si trova distanziata, al 18esimo posto, più vicina ai Paesi dell’Est che registrano le performance peggiori (Romania e Bulgaria) che non a quelli dell’Europa del Nord, ai primi posti della classifica. Se da un lato l’Italia, attraverso le sue imprese, mostra di essere in linea con la media Ue nell’adozione dell’IoT, dall’altro resta il divario con il resto d’Europa nello sviluppo delle infrastrutture e delle competenze necessarie.
Alla luce del legame tra connettività e capacità delle aziende di accedere a nuove tecnologie e opportunità di business (come l’analisi dei dati), per diventare davvero competitivi a livello mondiale sarà necessario promuovere investimenti pubblici e privati al fine di potenziare le infrastrutture digitali in tutta la Ue. La nuova generazione di connessioni mobili, da 100 a 1000 volte più veloci del 4G, rappresentano il vero driver del futuro della nostra industria. Tuttavia, la diffusione di reti di connettività veloci nella Ue è ancora limitata e geograficamente sbilanciata.
Si evidenzia anche l’urgenza di adeguare l’offerta formativa alla domanda in costante crescita di specialisti in ambito Ict e di Data Analyst, che caratterizza oggi il mercato del lavoro a livello europeo. Secondo il think tank la priorità dovrebbe essere quella di colmare al più presto il divario di competenze, intervenendo nel settore della formazione scolastica e aziendale. Nel 2016 il divario tra domanda e offerta di data analyst è stato infatti pari a 420.000 posizioni lavorative e dovrebbe salire a 769.000 entro il 2020.
“Da alcuni segnali, rafforzati specie negli ultimi mesi, possiamo senz’altro dire che il sistema Italia si stia muovendo nella giusta direzione – spiega Stefano da Empoli, presidente di I-Com – Non dobbiamo però sottovalutare la portata della sfida, specie rispetto alle competenze necessarie alle imprese per avere successo nel nuovo ecosistema e alla connettività, dalla banda ultra larga al 5G. Di fronte ai giganti asiatici l’unica risposta possibile è fare sistema con i principali Paesi Ue, a cominciare dalla Germania”.
Infine, l’Istituto per la Competitività ha anche analizzato come l’introduzione dell’IoT nella produzione manifatturiera abbia introdotto molte problematiche relative ai dati sulla privacy e sulla sicurezza, dal momento che la maggior parte dei modelli di business è costruito sulla disponibilità ininterrotta di Internet e sul buon funzionamento dei sistemi informativi. Gli incidenti in materia di cyber security, dunque, potrebbero interferire con la catena di fornitura delle aziende manifatturiere, causando gravi ripercussioni dal punto di vista economico e della qualità. Stando ai dati del think tank europeo, le imprese manifatturiere con una politica di sicurezza dell’Ict sono ancora poche, con solo il 32% delle industrie Ue che segue una politica di sicurezza formalmente definita.
L’Italia, insieme a Svezia e Irlanda, mostra una maggiore consapevolezza dell’importanza della protezione dei dati e questo soprattutto nell’industria manifatturiera, dove il tasso di attenzione delle aziende è pari al 53%. In generale, le imprese europee sembrano più preoccupate per il rischio di distruzione dei dati o di corruzione, mentre solo il 29% delle aziende produttrici dell’Unione europea sembra pensare al rischio di divulgazione dei dati riservati.