FISCO

Web tax, spunta la proposta estone: imposte in base al numero clienti

Via all’Ecofin di Tallin. La presidenza di turno Ue svela il suo piano: “così si rispettano le regole fiscali internazionali”. Italia, Francia, Germania e Spagna affilano le armi: tasse sul fatturato e non sui profitti. Ma Olanda, Lussembrugo e Irlanda non ci stanno

Pubblicato il 15 Set 2017

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Prende il via oggi l’Ecofin di Tallin: i riflettori sono tutti puntati sulla web tax. Non sono attese decisioni, ma almeno la Commissione europea avrà il mandato a studiare le opzioni per la futura web tax, la tassa a carico dei giganti dell’economia digitale: Google, Amazon, Facebook, Apple – in Francia li chiamano “Gafa” – e poi Airbnb, Booking.com e tanti altri. Il ministro dell’economia Pier Carlo Padoan si augura che questo impulso ci sia. I quattro ministri finanziari di Italia, Francia, Germania e Spagna hanno buttato sul tavolo la richiesta di fare presto: “Non possiamo più accettare che questi gruppi operino in Europa pagando un ammontare minimo di imposta. Sono in gioco l’efficienza dell’economia come l’equità fiscale e la sovranità”, hanno scritto in una lettera comune Padoan, Le Maire, Schaeuble e de Guindos. Alla proposta hanno aderito anche Austria, Bulgaria, Grecia, Slovenia e Lettonia.

La discussione è attesa per domani. Ma il tema è divisivo: Olanda, Lussemburgo e Irlanda sono sempre sul chi vive quando si parla di fisco per conservare i margini di manovra fiscali per attrarre le multinazionali nonostante i colpi ricevuti dall’Antitrust Ue. A non convincere delle proposta dei 4 è l’idea di tassare il fatturato generato tracciato nei singoli Paesi e non i profitti.

Spunta anche la proposta dell’Estonia (presidente di turno Ue) che punta a tassare sulla base del numero dei clienti nel singolo Paese, modificando il concetto di stabile organizzazione che non sarebbe, dunque, più fisica ma virtuale. “Sulla base di questo approccio – spiega la presidenza estone – le regole fiscali internazionali sarebbero rispettate”.

Per il ministro dell’Economia, Padoan, sulla questione web tax “era necessario dare un’accelerazione”, perché il “tema ormai era maturo da tempo. Arrivando a Tallin, Padoan ha ricordato che la posizione dell’Italia è riflessa nella lettera inviata la scorsa settimana alla presidenza estone assieme a Francia, Germania e Spagna. E’ un tema “naturalmente complesso”, ma su cui “speriamo di fare progressi”. Fiducioso si dice l’omologo fracese, Bruno Le Maire. “ La proposta presentata assieme a Italia, Germania e Spagna sulla tassazione dei giganti del Web è equa ed efficiente – ha detto – Sono fiducioso che alla fine dell’incontro di sabato avremo il sostegno di molti altri Stati che condivideranno la nostra iniziativa per il bene del miglioramento del quadro fiscale europeo”.

Ma la matassa è difficile da dipanare. Con il business online la nozione di “organizzazione stabile”, permanente, che è la base fisica di una società, non funziona. I colossi del Web si sono felicemente inseriti nella logica sperimentata da decenni delle grandi multinazionali del settore manifatturiero che hanno sempre sfruttato la concorrenza fiscale tra gli Stati alla ricerca del fisco più leggero possibile. Spesso abbinato ad accordi speciali “preventivi” (fiscal rulings) con le amministrazioni fiscali per assicurarsi livelli di imposizioni risibili. E’ il meccanismo andato in pezzi negli ultimi anni: dopo lo scandalo LuxLeaks, l’Antitrust europeo ha chiuso vari dossier mettendo all’indice i ruling concessi da Olanda (Starbucks), Lussemburgo (Fiat) e Irlanda (concessi vantaggi illegali per 13 miliardi ad Apple), poi ci sono state le inchieste che coinvolgono Amazon e McDonald’s e il Lussemburgo.

Stando ai dati raccolti dall’europarlamentare socialista Paul Tang Google è riuscita a portare fuori dalla Ue ricavi per oltre 50 miliardi, che significa almeno 5 miliardi di imposta persi dalla Ue, a fronte di una tassa versata in Irlanda pari allo 0,82%. In Irlanda Facebook riesce a limitare l’imposta a una forchetta tra lo 0,03% e lo 0,10% e, stando sempre alla ricostruzione dell’europarlamentare olandese, se si aggiunge lo “sconto” assicurato a Google la perdita di imposta versata per la Ue sarebbe pari a 1,8 miliardi l’anno. In Italia, secondo i dati dell’Ufficio parlamentare di bilancio, Google dichiara lo 0,3% dei ricavi complessivi e su questo viene tassata mentre le transazioni digitali in Italia rappresentano il 2,4% del totale. Facebook dichiara lo 0,1% e il 2,8%. Poi la pubblicità online: nel 2016 Google ha fatturato 82 miliardi e Facebook 33 miliardi.

Anche qui il grosso è stato tassato fuori Italia. Secondo la commissione Bilancio della Camera in tal modo vengono sottratti dalla base imponibile 30-32 miliardi l’anno, che implica mancate entrate per 5-6 miliardi. Un caso eclatante che ha convinto ancora di più la Francia ad agire è stata la recente decisione del Tribunale amministrativo di Parigi che ha annullato la multa di 1,1 miliardi del Fisco francese a Gogle per evasione fiscale proprio con l’argomento che il gigante del web non dispone di una presenza stabile in Francia. “Dobbiamo muoverci rapidamente a livello Ue”, scrivono i quattro ministri delle finanze, chiediamo alla Commissione europea di “esplorare le opzioni compatibili con la legge Ue e proporre soluzioni efficaci fondate sul concetto di ‘equalization tax’ sul fatturato generato in Europa dalle societa’ digitali. Gli importi raccolti dovrebbero riflettere una parte di quanto tali societa’ dovrebbero pagare in termini di tassa sulla societa'”. L’idea della Commissione europea, lo ha indicato stamattina il responsabile degli affari fiscali Pierre Moscovici, è far rientrare questo tema nella proposta di base consolidata per la tassazione delle imprese attualmente in discussione.

“Il settore digitale deve pagare le tasse come tutti, accogliamo con favore la lettera dei 4”, ed entro il summit digitale del 29 settembre la Commissione Ue presenterà un documento con le diverse opzioni disponibili tra cui i leader potranno scegliere”, ha sottolineato Moscovici. Moscovici ha fatto sapere che una proposta sul tavolo esiste già, ed è la Cttb, cioè la proposta di creare una base imponibile comune per le imprese, in discussione al Consiglio. Secondo il commissario questo lavoro “non dovremmo indebolirlo in nessun modo”. Le imprese digitali, ha aggiunto, “possono essere inserite nella Cctb. E’ un’opzione”.

“Mi auguro che dall’Ecofin di Tallinn possa arrivare una decisione condivisa che non rinvii il problema come fatto sistematicamente fino ad ora. Le ipotesi in campo sono tante, da quella indiana che rischia di creare due mercati diversi, alla tassa sul fatturato che però rischia di essere un pericoloso precedente – commenta Francesco Boccia, presidente della commissione Bilancio della Camera – A mio avviso la tassazione indiretta delle multinazionali del web alla base del lavoro dell’ocse rimane la strada maestra che è la stessa della cosiddetta webtax varata dal Parlamento italiano nel 2013 e poi bloccata”.

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