IL CASO

Bitcoin, contrordine: la moneta virtuale riprende quota

Raggiunti i 4mila dollari. Dopo la stretta del governo di Pechino, che ha vietato gli scambi, i player migrano verso Ginevra e Singapore

Pubblicato il 19 Set 2017

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Riprende quota il bitcoin. Dopo la stretta delle autorità finanziarie di Pechino, la criptovaluta torna a guadagnare, in netta ripresa rispetto al minimo toccato il 15 settembre scorso a 2.975 dollari, e viaggia oggi intorno ai 4.000. La moneta virtuale aveva risentito pesantemente del divieto delle Ico (Initial Coin Offerings) uno dei metodi più utilizzati dalle startup per la raccolta fondi, del 4 settembre scorso, decisa dopo il picco toccato il 1 settembre di 4.921 dollari. La stretta di Pechino ha preso di mira anche le tre grandi piattaforme di trading in bitcoin: Btc China, la più grande, e a seguire Huobi e OkCoin, conferma oggi il quotidiano China Daily, hanno annunciato nei giorni scorsi che termineranno le operazioni di scambi di valuta virtuale entro il 30 settembre, non solo a Shanghai ma anche a Pechino. Tutte le piattaforme di scambio della capitale dovranno presentare entro le 18 di domani pomeriggio, le 12 in Italia, il piano per la sospensione delle operazioni, secondo quanto afferma un regolatore del settore finanziario citato dall’agenzia Xinhua. Da qui la scelta di molti trader di migrare altrove.

Ma a cosa è dovuta allora la ripresa del bitcoin? Secondo le spiegazioni degli analisti, il trading in bitcoin in Cina è molto diminuito nel corso di quest’anno. Se fino a fine 2016, il peso della Cina e degli scambi in yuan corrispondeva a circa il 90% del totale del trading della criptovaluta, secondo le ultime stime citate dall’agenzia Bloomberg, oggi il trading in Cina sarebbe il 19% del totale (altre stime lo portano poco più in su, al 23%) dopo il giro delle autorità finanziarie di Pechino, tra cui la stessa People’s Bank of China che a gennaio scorso aveva convocato i rappresentanti delle tre grandi piattaforme di scambi sui timori di una bolla. Il posto dello yuan è stato preso dal dollaro, che negli ultimi sei mesi ha contato per il 54% del volume totale degli scambi. In più i trader cinesi di bitcoin starebbero migrando sia on line che off line. Dalla piattaforma di WeChat, la più popolare in Cina per la messaggistica istantanea, molti trader si sarebbero spostati su altre app che offrono un sistema di crittografia dei messaggi, a cominciare da Telegram, dove di recente sono nati nuovi gruppi di discussione dedicati al trading della criptovaluta. In molti, poi, avrebbero già scelto sedi come Ginevra o Singapore come basi per nuove società che si finanziano attraverso le Ico, oggi vietate in Cina sulle preoccupazioni per il contenimento dei rischi finanziari.

C’è poi l’opzione del ricorso al trading over-the counter, che prescinde quindi dalle piattaforme di scambi, e che non è toccato dall’iniziativa degli organi finanziari di Pechino che hanno vietato le Ico: tra questi organi ci sono, oltre alla banca centrale cinese, anche i tre organi di regolamentazione dei settori bancario, assicurativo e del mercato azionario, e la China National Internet Finance Association of China, l’ente di vigilanza sulla finanza su internet. “Il divieto dei regolatori cinesi sugli scambi in criptovaluta”, ha specificato al China Daily il capo dell’istituto di ricerca finanziaria della banca centrale, Sun Guofeng, “è un modo tempestivo per affrontare i rischi crescenti della finanza fondata sulla tecnologia, ma non è un rifiuto di una tecnologia innovativa come il blockchain”, tra l’altro utilizzato in una popolare banca cinese, la Postal Savings Bank of China, il Banco Posta cinese, che ne ha annunciato l’utilizzo a gennaio scorso. Il Blockchain, aveva commentato il presidente dell’istituto finanziario cinese, Lyu Jiajin, “migliora l’efficienza delle transazioni finanziarie”.

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