Cos’è la web tax e come funziona nei Paesi dove è applicata? La web tax è la tassazione sui guadagni delle grandi compagnie che operano nel web (dall’e-commerce alla pubblicità online) come Google o Amazon. L’Italia di recente ha giocato d’anticipo introducendo una norma transitoria in attesa che si arrivi a trovare una soluzione a livello sovranazionale.
LO SCENARIO INTERNAZIONALE. A livello internazionale sono state diverse le proposte di intervento per definire una tassazione che aderisca alla nuova realtà della economia digitale, ma sul piano operativo i singoli paesi si sono mossi in ordine sparso. In molti casi le soluzioni adottate, o nella maggior parte dei casi solo proposte, sono state di tipo parziale e contingente ai problemi esaminati. Inoltre, in diversi paesi, le norme introdotte sono state abrogate dopo breve tempo.
Regno Unito, tassa al 25%. Il meccanismo che va sotto il nome di Diverted profits tax (Dpt) è stato introdotto nel 2015 e prevede una tassazione del 25% ma in due situazioni ben precise. Il primo caso è quello del trasferimento in Paesi a più basso prelievo: la società realizza profitti nel Regno Unito ma poi fa in modo di spostarle in Paesi con trattamento fiscale più favorevole verso soggetti che non hanno sostanza economica e che sono detentori di attività significative prevalentemente immateriali (costituzione di intellectual property companies in paradisi fiscali). Il secondo caso è la stabile organizzazione: la Dpt può scattare in presenza di situazioni elusive da parte di una stabile organizzazione di un’impresa non residente nel Regno Unito ma che comunque vende beni o servizi sul territorio. Questo sistema è stato accompagnato anche dall’attribuzione di poteri di indagine dell’amministrazione finanziaria britannica sulle attività societarie.
Il caso India. In India esiste l’equalization levy: si tratta di una forma di prelievo a carattere compensativo che parte dall’obiettivo di garantire lo stesso trattamento tra operatori domestici ed estero.
Il tentativo dell’Italia. Con la legge di stabilità 2014 si era realizzato un primo tentativo di tassazione dei prodotti digitali. Una misura mai entrata in vigore perché prima sospesa con un decreto e poi definitivamente abrogata dal Governo Renzi (DL 16 del 6 marzo 2014) vietava a imprese e professionisti di acquistare servizi pubblicitari online da aziende che non fossero munite di partita Iva italiana. Con la manovrina entrata in vigore a giugno scorso è stata introdotta una norma ponte che prevede per i giganti del web con oltre un miliardo di fatturato e un giro d’affari di almeno 50 milioni di euro, la possibilità di stringere accordi preventivi con l’Agenzia delle Entrate.
LE IMPRESE. Airbnb: nel 2016 è stato utilizzato da più di 10 milioni di persone in Francia, ma ha pagato meno di 100 mila euro di tasse al ministero del Tesoro.
Google: nel 2015, in base a quanto riportato nel bilancio consolidato il gruppo Google (in cui sono presenti, oltre alla capogruppo Alphabet Inc. con sede negli Stati Uniti, le società Google con sede nei diversi paesi europei tra cui Google Italia) ha realizzato 67,6 miliardi di euro di fatturato sul quale ha pagato 3 miliardi di imposte, con una aliquota implicita sul fatturato del 4,4 per cento. A fronte di un margine di profitto del 26,2 per cento, l’aliquota implicita calcolata sull’utile di bilancio è stata pari al 16,8 per cento, contro un’aliquota nominale dell’imposta sulle società vigente negli Stati Uniti del 35 per cento.
Facebook: anch’essa con sede negli Stati Uniti, ha registrato 16,2 miliardi di euro nel suo bilancio consolidato che include, in quanto consociate, i risultati di Facebook Italia e le società presenti in Belgio, Francia, Germania, Spagna, Svezia, Paesi Bassi e Regno Unito. Le imposte complessivamente pagate sono pari a 2,3 miliardi, con un margine di profitto del 34,5 per cento e una aliquota implicita del 14 per cento e del 40,5 per cento, rispettivamente sul fatturato e sugli utili. Il bilancio consolidato di Facebook non include i ricavi della società irlandese Facebook Ireland Limited, che non fa capo alla Facebook Inc. negli Stati Uniti, ma alla Facebook Ireland Holding Unlimited che nel 2010 ha acquisito i diritti di sfruttare la piattaforma del social network al di fuori degli Stati Uniti e del Canada. Entrambe le società hanno come ultimo proprietario la Facebook Global Holdings Unlimited di cui non si conosce la nazionalità.
Nel triennio 2013-15 le imposte pagate complessivamente da Google e Facebook in Europa non superano il 3 per cento dell’ammontare complessivo riportato nei loro bilanci consolidati.