PROPRIETA' INTELLETTUALE

Furti di brevetti e hacker, crociata di Trump anti-Cina. Ma l’Ue non ci sta

Inchiesta di Washington sulle norme di Pechino relative alla proprietà intellettuale e sul trasferimento tecnologico “forzato” per le joint venture straniere in Cina. Trump minaccia i dazi unilaterali ma Bruxelles frena: meglio portare il caso al Wto

Pubblicato il 22 Set 2017

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Washington cerca l’appoggio dei suoi alleati di sempre – l’Europa e il Giappone – in una mossa anti-Pechino volta a contrastare le politiche cinesi sulla proprietà intellettuale (IP) che danneggiano, denuncia il presidente Donald Trump, il business delle aziende americane e degli altri paesi che operano sul mercato del grande Dragone. Tokyo e Bruxelles però non sembrano condividere l’atteggiamento aggessivo della Casa Bianca.

L’affondo di Trump nasce da un’inchiesta avviata la scorsa estate, “Section 301“, sul furto cinese di IP e sugli obblighi di trasferimento tecnologico che la Cina impone a molte aziende che fanno affari nel paese. L’indagine ha una durata prevista di un anno ma le autorità americane stanno facendo di tutto per chiuderla già a fine 2017. L’esito potrebbe essere l’imposizione di dazi unilaterali e Trump, secondo quanto riporta il Wall Street Journal, ha sondato il terreno con le controparti in Giappone e Ue per chiedere di varare a loro volta tariffe unilaterali per colpire alcuni prodotti importati dalla Cina.

Europa e Giappone hanno ovviamente interesse a proteggere la proprietà intellettuale dei loro player nazionali: molte imprese si lamentano di un incremento di furto di brevetti, spionaggio industriale e azioni di hacking collegati con la Cina. Anche le norme che obbligano i soci esteri delle joint venture cinesi a trasferire almeno parte della loro tecnologia non sono gradite. Tuttavia il timore è un’escalation dalla Casa Bianca che porti a una guerra commerciale tra le due più grandi economie mondiali. Né Tokyo né Bruxelles apprezzano la politica di Trump dell’America first che sa troppo di sterile protezionismo in un mondo necessariamente globalizzato e che finirebbe per colpire non solo la Cina ma anche gli alleati.

I dazi all’ingresso minacciati da Washington si rivolgerebbero per esempio alle importazioni negli Stati Uniti di acciaio e alluminio, di cui la Germania, il Giappone e la Corea del Sud sono produttori. Tokyo e Bruxelles avrebbero già fatto capire a Trump che non intendono violare le convenzioni dell’Organizzazione mondiale del commercio (Wto). Ma se l’indagine avviata da Washington sul furto di proprietà intellettuale in Cina dovesse produrre dati obiettivi da denunciare al Wto, il supporto per Trump ci sarebbe.

Da parte sua l’amministrazione Trump, le cui frange più nazionaliste non avrebbero remore a dare uno schiaffo alle convenzioni sul commercio globale, non ha ancora deciso se portare la questione Cina al Wto: “Non c’è alcuna preclusione”, ha dichiarato il Rappresentante per il commercio estero degli Stati Uniti Robert Lighthizer per aggiungere subito dopo: “Il Wto non ha gli strumenti per agire contro le politiche cinesi che sono la più grande minaccia di sempre al sistema globale dei commerci”.

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