I budget Ict e gli investimenti digitali delle imprese nel 2018 sono destinati a crescere dell’1,9%, e riguarderanno soprattutto i big data analytics, la dematerializzazione e i sistemi Erp. E nel loro percorso di innovazione le imprese italiane ricorreranno sempre più all’open innovation e alla collaborazione con le startup. Proprio quello delle startup italiane si dimostra un settore in costante crescita, come testimoniano gli ultimi dati che vedono i finanziamenti esteri a questo settore crescere nel 2017 del +163%, insieme a quelli dei business angel network e del crowdfunding. Proprio sul crowdfunding, che inizia ad acquistare consistenza come fonte di finanziamento di aziende e startup, l’osservatorio Crowdinvesting della School of Management del Politecnico di Milano ha dato vita all’ “Italian equity crowdfundng index”
Gli investimenti digitali delle imprese
Secondo i dati della ricerca degli osservatori Digital Transformation Academy e Startup Intelligence del Politecnico di Milano, presentata questa mattina al Convegno “Corporate Entrepreneurship e Open Innovation: innovare con un occhio alle startup!”, l’innovazione digitale acquisisce un peso sempre più rilevante nelle strategie e nelle decisioni di spesa delle imprese italiane. Cresce costantemente il budget Ict, che nel 2018 aumenterà nel 36% delle aziende, con un tasso stimato fra l’1,8% e l’1,9% e con investimenti concentrati su Big Data Analytics, Dematerializzazione e sistemi Erp. Nel 39% delle imprese, secondo lo studio, è presente un budget per il digitale anche in altri Linee di Business.
“I trend di crescita nell’innovazione digitale accelerano per il 2018 anche in Italia con budget in aumento nelle nostre imprese e la presenza di interessanti investimenti digitali anche nelle Line of Business – sottolinea Mariano Corso, responsabile scientifico dell’osservatorio Digital Transformation Academy – Gestire efficacemente l’innovazione digitale significa ripensare l’organizzazione nel suo complesso, dalle strutture ai processi fino ai meccanismi di coordinamento, aprendosi a un nuovo ecosistema di partner capaci di rispondere in modo flessibile e veloce al bisogno di innovazione. Tra questi partner spiccano startup, centri di ricerca, clienti guida e persino aziende non concorrenti”.
Così il digitale sta trasformando anche l’ecosistema di interlocutori delle imprese italiane, che oggi ricercano modalità di collaborazione più agili, nuovi modelli e cultura: cresce l’interesse per l’Open Innovation e aumenta il ricorso a fonti di innovazione fino ad ora poco utilizzate. Il 55% delle imprese ha attivato azioni di sensibilizzazione per modelli di imprenditorialità interna, il 38% collabora già con startup. Una percentuale limitata, il 28%, ha già avviato sistematici progetti di Open Innovation, ma chi lo fa ne è soddisfatto e adotta metodi sempre più completi e sistematici, mentre un altro 32% è intenzionato ad avviarli a breve.
“E’ fondamentale – afferma sull’open innovation Stefano Mainetti, responsabile scientifico dell’osservatorio Startup Intelligence e Ceo di PoliHub – stabilire una strategia di medio/lungo termine, con la definizione di ruoli e processi e gli indispensabili indicatori di performance. Un percorso in cui, a fianco delle imprese, giocano un ruolo rilevante le Università, se opportunamente stimolate dalla tradizionale attivazione di progetti d’innovazione e ricerca applicata”.
Quanto alle nuove aziende innovative, “oggi per innovare efficacemente nelle imprese è necessario tenere un ‘occhio alle startup’ – aggiunge Alessandra Luksch, direttore degli osservatori Digital Transformation Academy e Startup Intelligence – Da un lato perché queste possono generare, anche in Italia, eccellenti opportunità di innovazione, dall’altro perché possono attivare collaborazioni e sinergie per guidare le imprese tradizionali a uno sviluppo efficace dell’innovazione”.
Gli investimenti sulle startup
Secondo i dati dell’osservatorio Startup Hi-tech promosso dalla School of Management del Politecnico di Milano cresce la fiducia degli investitori esteri sull’ecosistema italiano delle nuove imprese innovative, che segna una spesa a +163% rispetto al 2016: viene dall’estero il 36% dei fondi a disposizione delle startup hi-tech italiane. Il report, presentato durante il convegno “Corporate entrepreneurship e Open innovation: innovare con un occhio alle startup!”, è stato condotto in collaborazione con Italia Startup, associazione dell’ecosistema startup italiano, ed è giunto alla sua quinta edizione. Unico neo rispetto all’andamento positivo generale, secondo i dati dell’Osservatorio, è il contributo economico degli investitori formali italiani al settore, che passa da 101 milioni nel 2016 a 80 milioni nel 2017, per una decrescita bilanciata dall’aumento del 10% dei finanziamenti da parte di attori informali.
Per il Nord e il Centro Italia iI sistema a supporto delle startup è la principale motivazione che influenza la scelta della localizzazione della sede (per il 29% e 33% del campione), insieme all’accesso a personale qualificato in loco (17%). Al Sud e nelle Isole, le motivazioni si spostano sulla possibilità di accedere a incentivi conferiti da autorità pubbliche (23%) e sulla dimensione del mercato (23%).
“Nel 2017 gli investimenti in Equity di startup hi-tech in Italia ammontano a 261 milioni di euro, in crescita del 20% rispetto al valore totale consuntivo del 2016, che era di 217 milioni di euro – afferma Antonio Ghezzi, direttore dell’Osservatorio – In ogni caso, come già rilevato nelle scorse edizioni della Ricerca, un paragone con altri ecosistemi più maturi e con dotazioni di risorse finanziarie estremamente più alte, come Usa e Uk, ma anche Israele, Francia e Germania, non è ancora ipotizzabile. L’ecosistema startup hi-tech italiano continua purtroppo a soffrire di un cash shortage a monte, e dovrebbe essere sostenuto da opportuni strumenti ed operazioni ad esso interamente destinati e dedicati. È doveroso osservare però come all’interno di questo trend vi sia una nota positiva per le startup nostrane: si evidenzia infatti un aumento del taglio medio di investimento (circa il 70% dei quali superano i 500.000 euro), segnale che anche in Italia è possibile ottenere round di fascia medio-alta che aiutino la startup a proseguire nel processo di crescita”
“Considerando la distribuzione della ricchezza nel Paese, l’Italia mostra una elevata percentuale di potenziali Angel che potrebbero guardare con interesse all’opportunità di investire in startup hi-tech – aggiunge Raffaello Balocco, responsabile scientifico dell’osservatorio Startup Hi-tech – Da questo punto di vista si può e si deve ancora maturare sotto l’aspetto culturale, con riferimento alla nostra tradizionale scarsa propensione al rischio e al “terrore” per il fallimento”.
“I numeri che emergono dalla ricerca di quest’anno sono a luci e ombre – sottolinea Federico Barilli, segretario generale di Italia Startup – la crescita complessiva degli investimenti dice che l’ ‘offerta’ di startup hi-tech italiane di qualità è complessivamente buona e attrae investimenti importanti anche dall’estero. Di contro, il ritardo rispetto a sistemi industriali analoghi al nostro, quali Francia e Germania, rimane rilevante e la massa di investito da parte di venture capital ed angel italiani rimane molto, troppo contenuta se si considera la grande consistenza del patrimonio privato del nostro Paese”.
L’italian equity crowdfunding index
Tra le fonti di finanziamento emergenti delle startup c’è anche il crowdfunding. Per valutare la riuscita degli investimenti di questo genere l’osservatorio Crowdinvesting della School of management del Politecnico di Milano ha deciso di dare vita all’Italian Equity Crowdfunding index”. “Sono già numerose le imprese che hanno condotto un secondo (o un terzo) round di finanziamento dopo avere raccolto denaro attraverso l’equity crowdfunding – commenta Giancarlo Giudici, direttore dell’Osservatorio – Con buona probabilità, fra poco potremmo assistere alla prima exit. L’index è un indice sintetico dell’apprezzamento ‘teorico’ del valore dei titoli sottoscritti dalla ‘folla’ di Internet”.
La metodologia, si legge in una nota dell’osservatorio, si basa su un algoritmo di ‘rivalutazione’ delle azioni/quote sottoscritte dagli investitori nei diversi round, in funzione dei multipli osservati nei round successivi.