Tutti parlano di cloud computing, nuvole di ogni tipo si aggirano
nei nostri cieli e siamo sicuri che questi nuvoloni sono una parte
del nostro futuro, ma non si sa ancora bene quale. Per adesso
abbiamo visto cloud di tipo “storage”, grossi magazzini nel
cielo a cui uplodare i nostri dati per poi prelevarli dove e quando
ci pare, magari ad un congresso in Patagonia nel quale,
improvvisamente, sentiamo il bisogno di documentarci con un
articolo che abbiamo scritto nel 1992 e che ora, dopo vent’anni
di oblio, ci appare importantissimo. Una variante sono i cloud di
backup, per avere una copia di sicurezza della nostra attività e,
possibilmente, sincronizzare tutti i computer che abbiamo (e i
tablet, gli smartphone ecc.).
Poi abbiamo visto i cloud di tipo “software”: invece di
riempirci il pc di applicativi, li noleggiamo e/o scarichiamo dalla
nuvola, se ne abbiamo bisogno per una sola volta: ad esempio, per
fare la tesi di laurea e poi più. Infine è emerso il cloud
“cooperativo”: gruppi di lavoro sparsi ai quattro angoli del
globo prelevano e aggiornano i materiali, utilizzando i molti
software per il lavoro collettivo, come Acrobat, e giù commenti,
sottolineature e varianti a non finire (alcune solo per far sapere
di esistere). Adesso Apple, come è il suo solito, fa la mossa del
cavallo e per farla Steve Job interrompe la convalescenza. Una
mossa laterale, non convenzionale proprio come il pezzo degli
scacchi che fa un passo avanti e due di lato, oppure due avanti e
uno di fianco, spiazzando il tranquillo conservatorismo degli
alfieri, vincolati a vita al loro colore, la prepotenza un po’
debole delle torri, e perfino l’onnipotenza della regina che può
tutto ma si ferma davanti ad un pedone (mentre il cavallo zompetta
qua e là).
I vecchi giocatori sanno che ognuno ha uno stile di gioco e quindi
ricordano che Apple uscì da un’ormai pronunciata marginalità
nel 2001 grazie ad un aggeggio musicale chiamato iPod, che nel 2002
generò il primo negozio musicale online, iTunes, la terza via fra
l’arroganza dei discografici e i libertari del filesharing
p2p.
Allora, nel suo keynote address, Steve Jobs si buttò nella
sociologia della musica, il linguaggio più universale, che tutti
pratichiamo canticchiando sotto la doccia, con cui tutti siamo
entrati prima o poi in contatto, e che rappresentava una
diversificazione straordinaria per un’azienda che produce
computer. Si era ancora nel dominio del mondo materiale, tutto
giocava attorno a un oggetto, l’iPod, come è avvenuto poi con
iPhone e con iPad, ma con una componente immateriale sempre più
pronunciata. Si riparte dalla musica anche nel 2011, con iCloud: un
servizio “virtualizzato” per il download dei brani in
streaming. Non c’è più bisogno di farsi la propria collezione
di musica, basta scaricare di volta in volta quello che ci serve.
Un pensiero laterale, dunque. Si comincia con la musica poi, come
con iTunes, verrà anche il resto.