Detlef Zühlke è considerato come uno dei “padri fondatori” di Industria 4.0 in Germania, e nei suoi speech ama ricordare come la definizione della quarta rivoluzione industriale nacque nel 2005 durante un’intervista, per la necessità di semplificare e rendere comprensibile al grande pubblico la carica “disruptive” delle nuove tecnologie applicate al settore manifatturiero. Da allora sono passati dodici anni, e la Germania è considerata in Europa e nel mondo come uno dei paesi che per primi hanno investito in questo settore. Ingegnere, con un passato accademico importante alle spalle, oggi Zühlke è direttore del centro di ricerca tedesco per l’intelligenza artificiale “Innovative Factory Systems”, oltre che presidente del cda si SmartFactoryKL, laboratorio di Kaiserslautern aperto alle collaborazioni per dispiegare le potenzialità di Industria 4.0. In un’intervista a CorCom durante la due giorni “Huawei eco-connect Europe”, che si è svolta da poco conclusa a Berlino, Zühlke spiega lo stato dell’arte e le prospettive di sviluppo di industria 4.0 in Europa, a partire dal ruolo che avranno le nuove reti come il 5G.
Zühlke, il governo italiano è impegnato in un programma di incentivi per industria e impresa 4.0. Cosa ne pensa?
E’ una strategia paragonabile da vicino alla strategia che è stata adottata in Germania, dove pure ci sono meno piccole e medie imprese. Per questo sarebbe importante unire le forze e guardare al futuro insieme. Dobbiamo puntare al mercato globale, e la Germania è troppo piccola per affrontarlo da sola: serve un mercato europeo forte, e sarà necessario il contributo di tutti gli Stati membri. Condivido anche il principio di passare dalla definizione di industria 4.0 a quella di impresa 4.0, dal momento che la digital transformation interessa tutti i settori dell’economia, e non soltanto l’industria.
Come cambiano le competenze richieste ai lavoratori con la quarta rivoluzione industriale?
Sono destinate a mutare profondamente. Il principio è che gli esseri umani sono una parte importante del network, ed è importante che si integrino appieno nel nuovo sistema. Per capirlo basti pensare che ci stiamo avviando verso il 5G, che richiederà nuove skill per dispiegare le proprie potenzialità. Bisogna formare le persone per sfruttare le possibilità offerte dalle nuove reti, con i lavoratori che potranno utilizzare device mobili che saranno in grado di collegare tutti i processi produttivi, e la realtà aumentata tramite visori. Il percorso di training non è semplice, ma è necessario iniziare al più presto. Anche in Germania siamo ancora indietro in questo percorso: molto è già stato fatto, ma ora c’è bisogno formare i formatori. Non è un grande problema a livello universitario, ma rimane importante aggiornare le competenze delle persone che stanno già lavorando, per tenerle al passo delle nuove tecnologie. E’ una richiesta che viene anche dalle stesse aziende.
Lei sottolinea l’importanza del 5G. Perche soprattutto le piccole e medie imprese dovrebbero investire oggi invece che attendere l’avvento del nuovo standard?
Non si può mai fare un salto dallo zero al 100%. Bisogna muoversi progressivamente nella direzione dell’innovazione, anche a piccoli passi, fare strategie basate sulle proprie esperienze e sui propri bisogni, sui propri prodotti e sui propri clienti. E’ possibile utilizzare oggi le tecnologie disponibili e poi operare uno switch verso il 5G: deve essere chiaro nelle strategie di ogni azienda cosa fare e quando. Di sicuro per le Pmi non è semplice, perché spesso non possono contare su manager in grado di mettere a punto strategie di lungo peiodo: per questo è importante che facciano parte di reti più larghe, per unire gli sforzi e collaborare. In Italia è un’esigenza particolarmente sentita, perché ha un tessuto produttivo caratterizzato da realtà molto più piccole rispetto ad esempio a quanto accade in Germania. E’ fondamentale prendersi cura di tutte queste piccole realtà e consentire che possano progredire insieme.
Cosa sta succedendo in Germania? E’ vero che dopo un’euforia iniziale oggi iniziano a farsi largo i primi dubbi sulle potenzialità di Industria 4.0?
La Germania ama parlare degli aspetti negativi e critici, a differenza di quanto succede in altre parti del mondo, basti pensare all’Asia. Abbiamo cominciato con le smart factories nel 2005, e sarebbe sbagliato aspettarsi di vedere dispiegati i risultati di una strategia di questa complessità nel giro di pochi anni. E’ capitato che siano state prese decisioni sbagliate, scelte piattaforma sbagliate, che qualcosa non abbia funzionato, e che le istituzioni non abbiano all’inizio assunto un ruolo guida in questa transizione. C’è una differenza di tempi tra le esigenze della politica e quelle dell’industria, la prima ha bisogno di tempo, la seconda di soluzioni, e bisogna trovare il modo di lavorare insieme per ottenere il massimo. Oggi è possibile, iniziano a circolare i prodotti, non soltanto le informazioni, e il mercato offre soluzioni per ogni genere di azienda.
L’innovazione procede a un passo più spedito rispetto a quello dei regolatori. E’ un problema per la definizione degli standard?
Dipende dalla definizione che vogliamo dare di standard. Se vogliamo definirli secondo l’accezione tedesca, in un processo democratico che richiede tempi lunghi, perché vede tutti gli stakeholder riuniti intorno allo stesso tavolo a partecipare alla discussione, o secondo quella statunitense, in cui i player principali mettono a disposizione le loro soluzioni e poi è il mercato a scegliere e a fare le regole. Questo è quello che proviamo a fare nei nostri laboratori. Il tema è che difficilmente gli utenti finali aspetteranno fino alla fine dei processi di standardizzazione, e che scelgono le soluzioni che sembrano loro più efficienti tra quelle disponibili sul mercato.
Le tecnologie per Industria 4.0 sono ormai disponibili. Ma il tessuto sociale è pronto per queste innovazioni?
In Germania direi di sì. Se allargo lo sguardo al resto dell’Europa la situazione è più frammentata, e se lo allargo ancora di più al resto del mondo vedo che in alcune aree sono molto più avanti di noi, come in Cina e in Korea più che in Giappone. L’Europa dorme: c’è bisogno di riunire le più grandi realtà produttive per dare vita a gruppi di coworking su questi temi, che poi possano prendere piede su tutto il territorio comunitario.
Pensa che le reti di telecomunicazione in Europa siano abbastanza sviluppate per supportare la diffusione di Industria 4.0?
Questa è una questione che investe è interessa principalmente la politica. Direi è che è una questione importante, ma non è la più importante oggi. Parlando della Germania, direi che la rete oggi non è un limite. Di certo bisognerà dare una spinta agli accessi ad alta velocità, e fare in modo che siano disponibili in ogni area dei nostri Paesi, soprattutto dove ci sono piccole realtà produttive disseminate sul territorio.