Bassa occupazione e basso livello di competenze. Alta inattività ed elevata ripetitività delle mansioni. L’Italia si presenta così alla “rivoluzione 4.0”. Un quadro non certo abilitante per governare la sfida “smart” che non riguarda solo i modelli di produzione ma anche la cultura – aziendale e sindacale – e il welfare. Le conclusioni dell’indagine conoscitiva della commissione Lavoro del Senato gettano le basi per futuri interventi normativi in grado di innovare il mercato del lavoro e metterlo al passo con i tempi di una tecnologia che “corre”.
“L’Industria 4.0 potrebbe accentuare le disuguaglianze nella distribuzione della ricchezza, la diffusa paralisi della mobilità sociale e la povertà – dice a CorCom il presidente della commissione, Maurizio Sacconi – La rivoluzione 4.0 ha un carattere di velocità mai visto prima che dà poco tempo per gestire il cambiamento, che determina impatti profondi sul tessuto sociale e che richiede una maggiore flessibilità da parte di imprese e lavoratori”.
Le sfide che l’Italia si trova ad affrontare saranno molteplici. Da dove partire?
La trasformazione pone certamente nuove sfide che rispondono a “vecchi” bisogni così come a nuovi. Penso, ad esempio, alle criticità che stanno emergendo sui diritti del lavoro: la salute e la sicurezza devono essere garantite in una cornice nuova perché è sempre più labile il confine spazio-temporale dell’attività svolta. Sul fronte dei nuovi diritti, sta emergendo con forza quello alla disconnessione così come, soprattutto, quello alla formazione. C’è poi il grande tema dell’equo compenso, non adeguatamente garantito. Tutti bisogni a cui l’attuale diritto del lavoro non riesce più a dare risposte adeguate.
Bisogna cambiare il quadro normativo, allora?
La legge è sempre meno capace di inseguire un cambiamento veloce e imprevedibile ed è importante che continui a fissare i principi fondamentali e inderogabili; il resto va lasciato alla contrattazione, soprattutto di prossimità, perché più duttile e veloce. Meno legge e più contratto, insomma, per consentire condivisione e adattabilità reciproca. Entrambi devono però garantire standard retributivi minimi per ogni prestazione lavorativa, tanto dipendente quanto indipendente. Particolarmente interessante è il nuovo contratto dei metalmeccanici perché di gran lunga il più moderno.
Una delle sfide chiave della rivoluzione 4.0 è quella della formazione.
Parliamo di “diritto alla formazione continua” che allo stato confligge con i corporativismi e le autoreferenzialita che spiegano il fallimento del sistema educativo e formativo. Al centro va posta la occupabilità della persona e quindi la capacità di imparare ad imparare per tutta la vita. Più laureati anche attraverso la riqualificazione dei percorsi triennali. E un piano nazionale di alfabetizzazione digitale degli adulti.
Che fare dunque?
Bisogna cambiare metodi e contenuti pedagogici. A partire dalla integrazione tra teoria e pratica. Nell’alternanza anche il lavoro è scuola perché competenze come la responsabilità di un risultato o l’attitudine al sacrificio non si imparano in aula ma in “situazione di compito”.
Industria 4.0 richiede anche un cambiamento nelle cosiddette politiche attive del lavoro.
I vecchi modelli di politiche del lavoro, flexicurity compresa, rispondono a una idea di mercati tendenzialmente stabili nei quali la transizione tra un posto di lavoro e l’altro è un fenomeno residuale. Nei nuovi mercati della transizione continua occorrono invece istituzioni pubbliche, private e privato-sociali, in rete tra loro, che offrano continue opportunità di apprendimento e di evoluzione delle competenze. In questo contesto al centro delle policy ci deve essere il sostegno alla domanda di formazione per togliere ogni rendita all’offerta.
Come?
Borse di studio e prestiti d’onore per i giovani, autoformazione detassata per gli autonomi, assegno di ricollocazione per i disoccupati, credito d’imposta per le imprese.
A livello “macro” come si può intervenire a sostegno della domanda?
Rivalutando e riformando i fondi interprofessionali che dovrebbero essere concentrati e posti nella condizione di decentrarsi nei territori quali veri e propri motori della occupabilita. Rappresentano l’incontro tra lavoratori e imprenditori per cui possono orientare e stimolare le reti dei servizi di cui dicevamo .
Forse la “sfida delle sfide 4.0” è il welfare.
La sfida principale è certamente quella della costruzione di un nuovo modello di protezione economicamente e socialmente sostenibile in un’epoca caratterizzata dalla transizione continua e dalla tendenziale accentuazione delle disuguaglianze. Il nuovo sistema di welfare deve promuovere la vita attiva, intesa non solo come lavoro ma anche come formazione, cura del prossimo, natalità cui riconoscere contributi figurativi.
Per farlo servono risorse.
Bisogna individuare basi imponibili nuove per la fiscalità generale, ridurre le contribuzioni a carico del lavoro, promuovere fondi collettivi complementari che integrino previdenza, sanità e long term care concentrando su di essi i benefici fiscali.