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E-commerce, le Pmi italiane ferme al palo

Rapporto Bem Research: nel 2016 solo l’8% delle imprese con almeno 10 dipendenti hanno ricevuto un ordine online a fronte di una media europea del 18%. Il maggior incremento registrato dal Nord-Est. Carlo Milani: “Serve un portale web per promuovere il made in Italy nel mondo”

Pubblicato il 14 Nov 2017

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Segnali di miglioramento per l’e-commerce italiano, anche se non tali da portare benefici alle piccole e medie imprese. È quanto emerge dall’ultimo Rapporto sull’e-commerce 2017 diffuso da Bem Research intitolato “Luci e ombre del commercio online in Italia”. Dal report emerge come il giro di affari del mercato italiano sia aumentato, passando dai 21 miliardi di euro del 2015 ai 26 miliardi del 2016. La quota sul mercato europeo a 28 paesi, il cui valore stimato è pari a 625 miliardi di euro (nel 2015 ammontava a 580 miliari di euro), è quindi passata dal 3,6 al 4,2%. Se un miglioramento c’è stato, il ritardo italiano risulta ancora molto ampio. Germania, Francia e Spagna evidenziano quote di mercato ben più ampie della nostra.

L’utilizzo di Internet per acquistare beni e servizi da parte delle famiglie continua a essere un’attività non molto diffusa in Italia. Appena il 29% della popolazione di età compresa tra i 16 e i 74 anni ha utilizzato almeno una volta il web per effettuare acquisti nel 2016. Rispetto all’anno passato si è registrato un aumento della diffusione di soli 3 punti percentuali, ma il gap rispetto al resto d’Europa è ancora ampio. L’Italia si posiziona davanti solo a Cipro, Bulgaria e Romania. Il divario italiano diventa ben più grande se si considerano Francia (66%), Germania (74%), Danimarca (82%) e Lussemburgo (79%).

In termini di area geografica è il Nord-Est ad aver registrato il maggiore incremento (+3,2 punti percentuali rispetto al 2015) mentre il Sud resta indietro e il Centro si ferma ai livelli del 2015. I residenti della Valle d’Aosta sono quelli più propensi all’utilizzo del web per effettuare acquisti, seguiti da Trentino-Alto Adige e dalla Lombardia. In fondo alla classifica si attestano Campania, Calabria e Sicilia, regioni che rispetto all’anno passato non sono riuscite ad evidenziare miglioramenti. Tra i prodotti maggiormente acquistati online troviamo viaggi e trasporti (18%), abbigliamento (18%), prodotti tecnologici (14%), articoli per la casa (13%), libri e giornali (13%), film musica e biglietti spettacoli (11%) e telefonia e assicurazioni (5%).

Dal punto di vista dell’offerta, nel 2016 sono state appena l’8% le imprese italiane con almeno 10 dipendenti ad aver ricevuto un ordine tramite l’online (in aumento di un solo punto percentuale rispetto all’anno passato). La media dell’Area euro si attesta al 18% (17% nel 2015). Tra i paesi europei più virtuosi troviamo Danimarca (28%), Repubblica Ceca e Svezia (27%), Germania (26%) e Belgio (24%). Il divario tra Italia ed Europa in riferimento all’offerta si riduce solo se si guarda alle grandi imprese mentre le piccole e medie imprese lo hanno visto aumentare. Invece, il fatturato prodotto da Internet nel 2016 dalle piccole e medie imprese è stato pari al 6% del totale nel 2016, contro l’8% del 2015.

“Tenendo conto del fatto che le piccole e medie imprese rappresentano il tessuto economico italiano è su questo fronte che sarebbe opportuno impiegare la maggior parte delle risorse pubbliche e private – commenta Carlo Milani, direttore di Bem Research –. La creazione di un portale web che promuova il made in Italy nel mondo, mettendo in rete le tante piccole realtà produttive di qualità che in Italia abbondano in campi quali il settore alimentare, la moda e l’arredamento, è un passo che deve essere compiuto. Un aiuto alle Pmi italiane potrebbe giungere anche da azioni sul fronte della domanda. Permangono infatti vincoli culturali, soprattutto nelle persone più anziane che in Italia rappresentano una grande fetta della popolazione, che impediscono di accedere a Internet o di valutarne l’utilità. Più specificatamente per il Mezzogiorno, andrebbe creato un sistema di incentivi fiscali e/o contributi volti a sostenere le spese necessarie per poter accedere al web” conclude Milani.

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