IL CASO

Ubergate, l’accusa dell’ex manager: “Spiavamo i concorrenti per sottrarre segreti industriali”

Colpo di scena in tribunale nell’ambito della causa che vede contrapposte Uber e Waymo (Google). Il giudice distrettuale rimanda le udienze e ordina di fare chiarezza sui sistemi di comunicazione “paralleli” che Uber avrebbe usato

Pubblicato il 30 Nov 2017

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Pessime notizie per Uber: la start-up del ride hailing avrebbe utilizzato una società interna per spiare i concorrenti europei e asiatici. Le accuse arrivano da Richard Jacobs, ex manager della global security di Uber, una cui lettera, risalente ad aprile o maggio scorso, è stata inviata dai procuratori federali statunitensi al giudice distrettuale William Alsup che presiede la causa in corso tra Uber e Waymo, la divisione per la guida autonoma di Google che a febbraio ha accusato Uber di averle rubato proprietà intellettuale.

Le rivelazioni di Jacobs, che è stato licenziato da Uber, hanno letteralmente pietrificato la corte: files criptati, telefoni usa e getta impossibili da tracciare, messaggi che si auto-distruggono appena letti, incontri segreti in piena notte sulle strade di San Francisco sarebbero state le tattiche di una divisione interna di Uber preposta a una vera azione di spionaggio sulle aziende estere rivali col fine di sottrarre segreti industriali.

La lettera di Jacobs è emersa, riporta il Financial Times, nell’ambito di un’indagine federale separata e i cui dettagli non sono pubblici. Gli avvocati di Uber hanno sostenuto che Jacobs ha scritto la lettera dopo il licenziamento, quando cercava una ricca buonuscita, e che è comunque prassi comune tra le aziende distruggere i documenti dopo un certo lasso di tempo. Ma il giudice distrettuale è andato su tutte le furie: Alsup ha accusato Uber di aver nascosto prove fondamentali e di voler gettare una cortina di fumo davanti ai giudici, ha rimandato la nuova seduta del processo tra Uber e Waymo a data da destinarsi e ha chiesto che siano chiamati a testimoniare in tribuale di persona sia Jacobs che due dipendenti di Uber. Il fatto che l’azienda della nota (e contestata) taxi app abbia utilizzato, se è vero quanto svelato da Jacobs, un protocollo di comunicazione separato da quello aziendale convenzionale è un ostacolo enorme alle indagini, ha detto il giudice Alsup: “Il server che possiamo controllare è per gli stupidi, i messaggi che ci servono stanno nel sistema ombra”. E recuperarli sarà un’impresa.

Waymo sostiene che il suo ex ingegnere Anthony Levandowski, prima di licenziarsi, abbia scaricato 14 mila documenti interni relativi alla tecnologia dei lidar, essenziali per le auto a guida autonoma. L’ingegnere ha poi fondato una società, Otto, che sviluppa camion automatici, che Uber ha acquisito e alla quale avrebbe trasferito i segreti industriali. Uber ovviamente respinge le accuse e afferma che i presunti files scaricati da Levandowski non esistono nei suoi server.

In questa causa Waymo ha finora cercato il patteggiamento, senza successo. Ma secondo gli osservatori il credito di cui Uber gode di fronte ai giudici è completamente esaurito: a meno di nuovi colpi di scena, probabilmente la società del ride hailing non avrà altra scelta che piegarsi alle richieste di Google.

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